Più volte su queste pagine abbiamo affrontato la politica estera di Erdogan. Proprio per comprendere in modo più chiaro le attuali scelte politiche del presidente turco, bisogna fare un passo indietro e cioè al 2018.

Nel giugno 2018, infatti, il presidente Erdogan è stato rieletto a suffragio universale. Un voto che gli ha consentito di istituire il regime presidenziale che aveva approvato con il referendum l’anno precedente, un sistema che aveva invocato per anni sebbene ci fosse, anche all’interno del suo partito, il Partito per la giustizia e lo sviluppo (Akp), una forte opposizione a questo modello. Secondo Erdogan questo sistema presidenziale consentirebbe un processo decisionale rapido ed efficace, una stabilità politica e una migliore governance all’interno dell’apparato statale.



In buona sostanza l’attuale regime politico è un regime di tipo autocratico all’interno del quale non esiste una separazione dei poteri, poiché tutti sono concentrati nelle mani del presidente turco, il quale ha il diritto e la possibilità di nominare i ministri e i viceministri, ma che soprattutto può governare attraverso l’uso del decreto.



A tale proposito non dobbiamo dimenticare che per esempio nel campo giudiziario è proprio il presidente che nomina direttamente la maggior parte dei membri del Consiglio giudiziario supremo e del Consiglio costituzionale, proprio allo scopo di controllare il potere giudiziario in termini politici. Sotto il profilo ideologico quindi possiamo affermare che con l’attuale presidente turco è stata siglata una vera e propria alleanza di tipo politico tra i nazionalisti e gli islamisti. Sotto questo profilo in un primo momento Erdogan sembrava più un musulmano conservatore con una certa aspirazione democratica; in un secondo momento ha cercato il consenso degli ultranazionalisti, soprattutto perché il suo partito Akp non poteva più garantirgli una maggioranza parlamentare senza stringere un’alleanza con il partito ultranazionalista, l’Mhp. Possiamo affermare che Erdogan ha saputo assumere un atteggiamento politicamente flessibile adattandolo alle circostanze e piegando le scelte ideologiche al conseguimento del potere.



Passiamo adesso a valutare alcune significative scelte in campo geopolitico da parte dell’attuale presidente turco.

In primo luogo nonostante vi sia sempre stata nella storia turca una forte tendenza volta ad avvicinare la Turchia all’Europa, Ankara allo stato attuale persegue una politica chiaramente anti-occidentale e anti-europea. Proprio per questo l’Europa deve assumere un atteggiamento chiaro nei confronti dell’attuale Turchia e decidere che cosa intende fare.

In secondo luogo se guardiamo ai rapporti tra la Turchia e la Russia lo jihadismo ceceno è stato a lungo un ostacolo tra Russia e Turchia. Infatti, Mosca sospettava che Ankara, non senza motivo, proteggesse o addirittura sostenesse la ribellione cecena. Ma Mosca e Ankara hanno negoziato un accordo in base al quale la Turchia non avrebbe rinnovato una serie di visti per i rifugiati politici ceceni.

In terzo luogo un altro aspetto poco noto dei rapporti tra la Turchia e la Russia è relativo al colpo di Stato del luglio del 2016: furono infatti i russi a informare i turchi dell’imminente tentativo di golpe. Subito dopo Mosca decise di allearsi con l’attuale presidente Erdogan, mentre l’Europa si è dimostrata ancora una volta ambigua ed incerta.

In quarto luogo l’attuale atteggiamento ambiguo del presidente turco nei confronti della Nato dipende dal fatto – dopo il tentativo di colpo di Stato del 2016 – che la rottura con il movimento gulenista ha spinto il presidente Erdogan tra le braccia di ultranazionalisti ed eurasiatici per la maggior parte anti-Nato, filo-russi o pan-turchi. Sono tutti elementi questi che hanno riavvicinato la Turchia alla Russia.

In quinto luogo non c’è dubbio che l’attuale presidente turco abbia appreso molto dalla Russia, soprattutto per quanto riguarda la capacità di utilizzare lo strumento della propaganda come strumento di disinformazione e di destabilizzazione, per esempio in funzione antieuropea e antioccidentale. L’indebolimento infatti dell’Europa da un lato e dall’altro il tentativo di giocare sulle sue divisioni può infatti rappresentare un vantaggio di grande rilevanza sia per il presidente turco che per il presidente russo Putin.

In sesto luogo sia in Siria che in Libia, Turchia e Russia sono certamente riuscite a definire uno spazio di collaborazione, ma nel Caucaso, quindi nello spazio post–sovietico, la tensione è aumentata e potrebbe intensificarsi se e quando Erdogan vorrà istituire una base militare in Azerbaijan.

Tuttavia teniamo presente che Erdogan non solo non è completamente allineato con la Russia, perché non riconosce la Crimea come russa, ma mantiene buoni rapporti con la Bielorussia o la Moldova.

In settimo luogo la Russia ha consentito alla Turchia di non essere più un paese di seconda categoria, includendolo tra l’altro nei negoziati tripartiti (Iran, Turchia, Russia) ad Astana.

Infine un’altra ragione di questa stretta alleanza con la Russia dipende dal fatto che Ankara dipende dal gas russo e i due paesi hanno in comune il gasdotto Turkish Stream. La Turchia vuole diventare un hub energetico, in altre parole controllare il più possibile le forniture per l’Europa. Ed è proprio questo progetto che spiega anche il sostegno militare di Ankara all’Azerbaigian che dovrebbe consentirle un accesso diretto al Mar Caspio.