Nella sua interessante intervista al Sussidiario, Francesco Sisci descrive i complicati risvolti che accompagnano l’ennesima, dolorosa vicenda di migranti respinti, questa volta alla frontiera tra Bielorussia e Polonia.
Come accade su altri fronti, dalla Libia al Messico, anche qui le migrazioni vengono usate come arma politica all’interno e verso altri Stati, tanto più se si tratta di personaggi non democratici come Lukashenko e Putin. Occorre però ricordare come un utilizzo analogo di queste masse di sfortunati sia fatto dalla Turchia di Erdogan, membro della Nato e alleato dell’Occidente.
Sisci osserva giustamente che la Russia si sente sotto attacco da parte di Nato e Unione europea e reagisce di conseguenza: migranti contro sanzioni. Inoltre, un aggravamento della situazione migratoria deriverà dalla precipitosa fuga degli Stati Uniti dall’Afghanistan.
Sisci sottolinea, poi, un problema sempre più evidente, cioè la convenienza di un cambiamento di atteggiamento dell’Occidente verso la Russia per allontanare Mosca da Pechino. A Washington paiono voler continuare a considerare la Russia come il nemico principale, accanto alla Cina, forse perché si aspettavano un appiattimento di Mosca sulle loro politiche, dopo il crollo dell’Unione Sovietica. O forse perché, malgrado le evidenze contrarie sulla fine del “Secolo americano”, continuano a considerarsi i gestori del mondo. O, quantomeno, devono continuare a propagandarsi come tali, che sia “Make America Great Again” di Trump o “America is back” di Biden.
In realtà, i rapporti con la Cina sembrano meno aggressivi rispetto a quelli verso la Russia, come dimostra il recente e sorprendente accordo sul clima tra Washington e Pechino, commentato da Andrew Spannaus su queste colonne. Peraltro, Spannaus afferma che, sia pure sotto traccia, Washington ha avviato un dialogo anche con Mosca.
Più problematico l’atteggiamento dell’Unione europea, che non può evitare di avere con il vicino russo rapporti estesi in vari settori. Ne è un esempio la forte dipendenza europea dal gas russo, che soddisfa quasi il 50% del fabbisogno di gas dell’Ue, attraverso gasdotti che arrivano direttamente in Germania, come i due Nord Stream, o che transitano per l’Ucraina e la Bielorussia. Ciò che permette a Lukashenko di minacciare l’Unione di interrompere le forniture del gasdotto Yamal che, passando per la Bielorussia, porta il gas russo in Polonia e Germania. Nel frattempo, grazie anche al raddoppio del Nord Stream, Putin può giocare a sua volta sulle forniture di gas.
Non è facile da spiegare l’atteggiamento di una Ue che, da un lato, emana sanzioni contro la Russia e, dall’altra, pretende che Mosca fornisca il gas di cui necessita senza batter ciglio, anzi alle sue condizioni. Altrettanto per la Germania, che bacchetta il regime di Putin, ma sfida gli Stati Uniti con il raddoppio del Nord Stream, a spese dell’Ucraina. Inoltre, Putin e Lukashenko hanno buon gioco nel mettere in difficoltà la Polonia che in questo periodo è ai ferri corti con Bruxelles, che l’ha condannata a pagare una multa di un milione di euro al giorno.
Questo scenario non tocca gli Stati Uniti, anzi rappresenta un’opportunità, che già Trump aveva cercato di sfruttare: porre il gas liquefatto statunitense come parziale alternativa al gas russo. Ciò non toglie che rimarrà per lungo tempo una sostanziale dipendenza europea dal gas russo, ma questa, per quanto importante, non è l’unica spinta a un ammorbidimento dei rapporti con Mosca.
Come detto, è fondamentale evitare che Russia e Cina diventino alleati e ciò anche per l’Europa, nella quale l’influenza cinese comincia a essere non irrilevante. Anche i Paesi dell’Europa Orientale, giustamente diffidenti verso gli eredi dell’Unione Sovietica, potrebbero trarne vantaggio e, sia pure con difficoltà, sarebbe forse più agevole trovare soluzioni, sia pure di compromesso, per la questione ucraina.
Rimane il fatto che il regime russo non è democratico, ma l’Ue non pare avere problemi a trattare con Stati come Algeria, Egitto, Arabia Saudita o Qatar, che avrebbero qualche problema a passare i nostri test di democraticità. Dai quali, tuttavia, l’Europa importa petrolio e gas. In attesa che vada a termine la fantasmagorica transizione energetica, che ci libererà dalla schiavitù degli idrocarburi.
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