Parliamo di conflitti che nell’ultimo decennio sono significativamente aumentati per intensità. Nello specifico, del conflitto dichiarato e condotto da Israele in Medio Oriente anche per ritorsione alle gravi azioni terroristiche delle formazioni palestinesi di Gaza, ma anche di quello per ora non dichiarato tra Israele e Iran. Prima di entrare nel merito è utile un breve inquadramento nel contesto più ampio dei conflitti attivi nel mondo.
Secondo il portale specializzato (RULAC) della ginevrina Accademia del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani, oggi nel mondo sono attivi 110 conflitti armati. Alcuni sono attivi da cinquant’anni ma solo pochi assurgono all’attenzione mediatica.
Il Medio Oriente e Nord Africa è la regione mondiale a più alta concentrazione di conflitti attivi. Ben 45! La maggioranza di questi conflitti non sono internazionali ma vedono l’intervento diretto o indiretto di vari Paesi occidentali, oltre a Russia e Turchia. Con la sovrapposizione di attori statali e non statali, la Siria è il caso più grave, seguito oggi da Libano e Palestina. In 4 di questi conflitti (Palestina, Libano, Siria, Yemen), oggi, lo Stato di Israele è dichiaratamente e direttamente impegnato militarmente con il supporto militare, di intelligence, e finanziario occidentale.
I conflitti di Israele in questi quattro teatri dura da decenni. Ciò che è cambiato il 7 ottobre 2023 (violenta e sanguinosa incursione terroristica palestinese da Gaza in Israele) è stata l’intensità, reciprocata ed enormemente amplificata da Israele con operazioni militari e incursioni tuttora in corso. A ciò va aggiunto che tra aprile e ottobre 2024, due Stati, Israele e Iran, non sono entrati in una guerra dichiarata ma hanno reciprocamente scambiato attacchi missilistici più o meno concordati con o preventivamente annunciati agli Stati Uniti e forse anche a Russia, Cina e Turchia. L’Iran è da anni sotto sanzioni occidentali perché sospettato di sviluppare un programma nucleare ad uso militare ed è pubblicamente stigmatizzato solo dall’Occidente come Stato terrorista che sostiene l’arco della resistenza a Israele. Israele possiede armi nucleari al di fuori del Trattato di non proliferazione, è sostenuto dagli USA e da tutti i loro alleati, è sospettato di aver condotto attività terroriste sul territorio iraniano ma ha ammesso un certo numero di azioni “mirate” nell’uccisione di leader civili e militari “nemici” anche in Siria, Iraq, Gaza e da ultimo in Libano.
L’Africa conta 35 conflitti attivi non internazionali con il coinvolgimento di vari gruppi armati che agiscono contro i governi e in attrito tra loro, ma anche con l’intervento di Paesi occidentali e della regione. La Repubblica Centrafricana è il caso più grave, seguito da Burkina Faso, Mali, Mozambico, Nigeria, e Somalia.
In Asia si contano 21 conflitti armati attivi di cui 19 sono condotti da gruppi armati interni agli Stati e non sono conflitti internazionali. Invece, sono 2 i conflitti internazionali – India-Pakistan e India-Cina – e in prospettiva Taiwan potrebbe diventare un conflitto internazionale con il coinvolgimento diretto degli USA e dei loro alleati.
In Europa i conflitti attivi sono 7. Il più grave è il conflitto internazionale Ucraina-Russia iniziato nel 2022 con l’invasione russa dell’Ucraina ma era preceduto da 2 conflitti non internazionali iniziati nel 2014 (Donetsk e Luhansk) tutt’ora in corso. Ciò che è cambiato nel 2022 non è il conflitto russo-ucraino ma la sua intensità.
In America Latina i conflitti attivi sono 6. I casi più gravi sono in Colombia e Messico, ma non sono conflitti internazionali.
Riassumendo, sono 7 i conflitti a più alta intensità, di tipo internazionale e interno, distribuiti in Europa e Medio Oriente e Nord Africa. Più che un arco di crisi, l’Europa è accerchiata da conflitti attivi ad intensità crescente. Ben 7 conflitti all’apparenza indipendenti tra loro ma che presentano un’unitarietà strategica. Inoltre, l’Europa diventa anche il terminale di crescenti spinte migratorie provocate dai conflitti africani e asiatici.
La prima domanda che dovrebbe essere spontaneo porsi è: perché siamo in una condizione di guerra estesa, continuata, e in certi casi intensificata?
La risposta impostaci dal dominio delle narrazioni è che regimi autoritari e terroristi aggrediscono con ogni mezzo o invadono gli spazi delle democrazie e della libertà in violazione delle regole fondative dell’ordine mondiale stabilito dagli autodichiarati vincitori del 1945. Una narrazione sintetizzata da Biden con l’inintelligibile slogan “democrazie contro autocrazie” che confusamente e maldestramente pretende di riattualizzare il discorso rooseveltiano sui “four freedom”.
È in questo quadro esplicativo che forse dovremmo essere in grado di capire cosa sta succedendo in Europa, Medio Oriente e Nord Africa. E in particolare in Israele e in Iran, in Ucraina e in Russia. Evidentemente, la rappresentazione suggerita dalla narrazione dominante non si fonda su elementi verificabili, su verità oggettive, e non offre strumenti di valutazione, discernimento e ancor meno di deliberazione. Questa narrazione impone una scelta di campo di tipo fideista nel quadro dello schema “con me o contro di me”. Una polarizzazione delle percezioni, dei sentimenti, e delle scelte di campo che di per sé è conflittuale.
(1 – continua)
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