La campagna elettorale per le prossime elezioni europee è sempre più caratterizzata dalla contrapposizione tra “europeisti” e “sovranisti”, in un’ottica soprattutto diretta alla situazione politica interna dei vari Paesi. Questa distinzione ha infatti poco senso dal punto di vista del Parlamento europeo, se non altro per gli scarsi poteri di questo organismo nella verticistica costruzione dell’Unione Europea.
Fino a non molto tempo fa si parlava “euroscetticismo” per identificare le posizioni critiche nei confronti dell’attuale strutturazione dell’Ue, identificando così propriamente il reale terreno del confronto. Invece, il termine “sovranismo” si presenta come del tutto astratto in rapporto alla realtà attuale dell’Europa e ricorda la “neolingua” di Orwell, strumento in 1984 per l’avvento del pensiero unico del Grande Fratello.
Può sembrare un paragone eccessivo, e per il momento lo si può ritenere tale, ma l’evoluzione cui stiamo assistendo non è di certo in favore di un maggior potere decisionale dei popoli, bensì verso un sempre più netto accentramento delle decisioni nelle mani di vertici tecnocratici, per di più autoreferenti. Se altri poteri intervengono, come accade, non sono comunque riferibili al Parlamento europeo per il quale stiamo per votare. Basti ricordare la forte influenza della finanza internazionale, riconosciuta anche da molti “europeisti”, per esempio quando definiscono enti come la Goldman Sachs il vero potere mondiale. Sarà bene non dimenticare gli stretti contatti con questa potenza finanziaria transnazionale di personaggi di rilievo politico come Mario Draghi, Mario Monti o Romano Prodi, così come le critiche sollevate da Emily O’Reilly, ombudsman europeo, sul passaggio alla Goldman Sachs di José Manuel Barroso, ex presidente della Commissione Europea.
L’Unione Europea non è uno Stato federale, e neppure una confederazione di Stati, bensì un’organizzazione sovranazionale derivante da trattati firmati da singoli Stati sovrani. Come ogni trattato internazionale, anche quelli alla base dell’Ue comportano limitazioni, o parziali cessioni, della sovranità dei singoli Stati, ma una cessione totale di sovranità avviene solo nel caso di resa incondizionata dopo una guerra persa. Non sembrerebbe questo il caso dell’Unione Europea, anche se la vicenda greca potrebbe portare a qualche assonanza. Che senso ha allora definire “sovranista” chi critica l’assetto attuale dell’Unione? Questo termine viene usato soprattutto verso Paesi periferici con governi non “allineati” a Bruxelles, come quelli del Gruppo di Visegrad o l’Italia “gialloverde”.
Un uso del tutto strumentale, se si guarda alla situazione reale dei rapporti tra i Paesi dell’Unione Europea, basati soprattutto sulla forza e che spesso ricordano un altro romanzo di Orwell: La fattoria degli animali. Non è un mistero che il Regno Unito abbia sempre goduto di clausole particolari all’interno dell’Ue: sovranismo? E che dire non solo della Polonia, ma anche della Svezia che ha anch’essa rinunciato ad entrare nell’euro, evidentemente ritenuto dannoso per i propri interessi: sovranista anche “l’illuminato” Paese scandinavo? Dov’era l’Ue quando Francia e Regno Unito hanno attaccato la Libia, con le disastrose conseguenze di cui ora soffre tutta l’Unione, in primo luogo l’Italia? Eppure, sarebbe difficile immaginare qualcosa di più “sovranista” che scatenare una propria guerra fregandosene degli altri Paesi dell’Unione.
Per non parlare del Paese più “europeista” di tutti, la Germania, ampiamente criticata anche sul Sussidiario per l’utilizzo pro domo sua dell’Unione Europea. Ci si potrebbe poi chiedere se il cosiddetto “patto di Aquisgrana” firmato lo scorso gennaio tra Germania e Francia non sia una preclara affermazione di sovranità di due Stati completamente al di fuori del contesto dell’Unione Europea. Nella sua intervista al Sussidiario, Alessandro Mangia lo ha definito un trattato che “accelera il processo di disgregazione dell’Unione Europea”. Ohibò, anche Macron e Merkel sovranisti?
Prima ancora della storia, la semplice cronaca ha dimostrato come tale domanda sia retorica: Germania e Francia non hanno rinunciato, né intendono rinunciare, a nulla della propria sovranità. Infatti, a marzo il presidente francese coglie di sorpresa gli altri Paesi dell’Unione, compresa la “alleata” Germania, con una lettera ai cittadini dei 28 Paesi membri, in cui invoca un “Rinascimento Europeo”. Un vero e proprio programma elettorale per il 26 maggio, nel quale Macron parla perfino di “difesa comune”, forse immemore di quanto il suo predecessore ha fatto con la Libia e che egli stesso, in completo oblio dell’Ue, continua a fare in quel Paese.
La risposta tedesca è arrivata a stretto giro di posta, con la dichiarazione di Annegret Kramp-Karrenbauer, che ha sostituito nel dicembre scorso Angela Merkel alla presidenza dell’Unione Cristiano-Democratica tedesca (Cdu). Anche il lungo documento di AKK, come viene spesso chiamata, è un programma elettorale di vasta portata, che ha anche il coraggio non usuale di affrontare in modo netto il problema dell’immigrazione islamica. Circa il “sovranismo”, spesso collegato a un nazionalismo da condannare, come fatto da Macron nella sua lettera, AKK afferma che “Una nuova fondazione dell’Europa non può fare a meno degli Stati nazionali, che danno legittimità e identità democratica. Sono gli Stati membri che formulano i propri interessi sul piano europeo e li mettono insieme. È da questo che deriva il peso internazionale degli europei”. E non manca la stoccata diretta alla Francia, con la richiesta di concentrare il Parlamento europeo a Bruxelles, rinunciando quindi al doppione, anacronistico e costoso, della sede di Strasburgo.
A quanto pare, i leader dei due Paesi “modello” dell’Ue pensano entrambi a una sua rifondazione: il vero problema è chi dei due guiderà questa “nuova” Unione. Gli altri Paesi, soprattutto in periferia, attendano in silenzio.