Caro direttore,
è di questi giorni la recrudescenza del problema dell’Ucraina, problema del ruolo geopolitico di questo Stato, al centro del confronto-scontro tra Stati Uniti e Russia, e delle conseguenti retoriche dei due protagonisti.
Da una parte gli Stati Uniti con la retorica delle velleità dell’impero sovietico che vorrebbe ritornare sulla scena attuale, sia come potenza che come antica estensione territoriale. Dall’altra, la Russia con la narrazione di una unica identità di fondo delle nazioni russe.
Devo subito affermare che considero molto più giustificabile la versione russa, confortata da un passato millenario di popolazioni unite da lingua, religione, costumi, tensioni militari e sociali; è cioè la sconfinata landa al di là della Vistola verso oriente, abitata dalle genti russe, che al loro interno si declinano in russi bianchi, russi del nord e russi del Mar Nero e del Dniepr: la mitica terra dei Cosacchi del Don, altro ancestrale fiume russo.
Una identità che potrebbe essere riconducibile allo schema con il quale si pensa all’Italia ante 1860 e a partire dal 1200: un’unica gens italiana divisa politicamente e per ragioni di opportunità dei tempi in tanti Stati. Del resto Gogol era anche un pregevole antropologo, e nel 1827 descriveva chi abitava a sud delle Alpi e su tutta la penisola come italiani. Non era il solo: era il linguaggio di tutti, dall’uomo della strada alle cancellerie di tutta Europa; eppure, nonostante tutto questo, nel Seicento, nel Settecento e per buona parte dell’Ottocento non erano maturate le convenienze di politica internazionale per far nascere lo Stato italiano, cioè la nazione degli italiani.
Curiosamente, nei loro report di questi giorni gli organi statunitensi hanno sempre parlato di nuove velleità di un vecchio potere sovietico, mai andando a scomodare l’impero zarista; la cosa è curiosa solo in apparenza, in quanto se gli Stati Uniti iniziassero a parlare esplicitamente di nostalgie dell’impero zarista, precipiterebbero a piè pari nella sconfinatezza degli spazi del passato, dando in tal modo una chiara conferma alle esternazioni russe.
Si può allora con ragionevolezza affermare che oggi in Ucraina, grazie al colpo di stato del 2014 orchestrato dagli Usa, c’è un governo filo-americano e occidentale, ma che al tempo stesso la realtà è immensamente più complicata. Complicata dal fatto che gli stessi Stati Uniti vivono, nel profondo dell’antropologia di una popolazione di origine europea, un amore sacrale per i russi, scomodo da dichiarare.
Il mito americano degli spazi senza fine, degli uomini liberi di fronte al destino, senza la protezione e la scomodità degli antichi retaggi delle civiltà del passato, trova negli sterminati spazi russi una mitologia viva e fresca, tutt’ora pulsante di emozioni. Per tanta parte dell’americano medio la Russia con le sue immensità e le sue bellezze è diventata un orizzonte identitario, di fronte a una realtà che pone difficoltà a non finire. Però non lo si può affermare a voce alta, perché queste identità antropologiche hanno anche un risvolto sociale pericolosissimo: abbiamo idea di come è oggi fratturata la società degli Stati Uniti da contese razziali, da contese economiche, da squilibri territoriali, non ultimo dei quali l’immigrazione dall’America latina?
Invece, da parte russa, la ventilata invasione dell’Ucraina porta con sé dei vincoli, ma sono vincoli ben diversi dai tanti che capita di leggere su tanta stampa specializzata e no. In sostanza, si ipotizza che un’invasione dell’Ucraina da parte della Russia sia più o meno un bluff nella sua sostanza, in quanto il consumo di risorse materiali ed economiche sarebbe troppo alto per un’economia in crisi e piccola come quella russa.
In realtà si potrebbe facilmente dissentire da tali letture. Primo, l’economia russa non è né piccola ne in crisi. Secondo, il vero limite e il vero vincolo che ha davanti Putin è quello dello scorrimento di sangue tra persone che al fondo appartengono a un’identità comune: quella dei russi, fatti da Ucraina, Russia, Bielorussia, Georgia e Armenia.
Qui sta il limite: non si può entrare coi carri armati versando sangue di uno stesso popolo; infatti, a tal riguardo il conflitto a bassa intensità del Donbass tra ucraini e repubbliche filorusse ribelli e che ha causato dal 2014 sino ad ora circa 14mila morti, è oramai letto a Kiev – e a Mosca – come un bagno di sangue di cui ci si sente vergognosamente responsabili nelle due capitali.
E tutto questo lo ha orchestrato la Cia, utilizzando Zelenskyj; si può dimenticare che a fine novembre il presidente ucraino parlava di un probabile golpe programmato l’1 o il 2 dicembre? Cosa è accaduto? Nulla. Ma se nulla è accaduto dei fatti imminenti dichiarati da Zelenskyj, qualcosa è accaduto a lui, che ha perso ogni credibilità dando piena conferma di essere manovrato dagli Stati Uniti.
Ma c’è di più: quando si tratta di Taiwan, gli Stati Uniti non fanno nulla per smentire una loro partecipazione militare in un’eventuale contesa con la Cina; quando si tratta di Ucraina, la prima cosa che hanno fatto a Washington è dichiarare l’assoluta assenza di un coinvolgimento militare diretto. E il motivo è semplice: l’unica potenza che gli Stati Uniti temono a livello militare è la Russia ma la situazione è per altri versi bilanciata dal fatto che solo gli Usa eccellono in produzioni militari che sono precluse alla Federazione Russa.
Un equilibrio la cui chiave di volta, all’ultimo decisivo livello, è rappresentata dalle armi nucleari. E violare questo principio significa esporre la Terra alla distruzione.
Pertanto, come si può valutare il reale stato di ricchezza della Russia, da tanti intemerati descritta come nazione in crisi e all’angolo? Qui ci vorrebbe l’ausilio di una teoria macroeconomica che personalmente ritengo ridicola e squinternata, se non calata nella realtà caso per caso, e comunque con distinguo finali imperscrutabili; sto parlando della Ppa, la teoria dei poteri d’acquisto, utile più a ubriacare il cervello che a fare ragionamenti sensati.
In sostanza, con un approccio mirato alla Russia e con infinite cautele che non eliminano del tutto errori anche importanti, si può giungere alla conclusione che il Pil russo corretto con una Ppa adeguata sia pari al 40% circa di quello americano. E questo spiega perché a livello militare parliamo delle due uniche e vere superpotenze.
Chiudo dicendo che la Ppa calcolata per la Cina, ad esempio da dati Wikipedia, è un’estrapolazione che mi fa trovare del tutto in disaccordo.
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