A New York, nel settembre 2019, intervistato a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il primo ministro armeno Nikol Pachinyan ha ricordato la vicinanza storica, culturale e politica tra India e Armenia e ha invocato la necessità di rafforzare i legami economici tra i due Paesi.

Ultimo ma non meno importante, nella stessa intervista Pachinyan ha chiarito che l’Armenia sostiene fortemente la posizione dell’India sulla questione del Kashmir. In cambio del sostegno dell’India alla propria disputa territoriale tra essa e l’Azerbaijan? C’è un mimetismo innegabile tra i conflitti indo-pakistano e armeno-azerbaigiano, anche se le posizioni delle parti coinvolte in un possibile referendum sull’autodeterminazione in Kashmir o Karabakh non sono affatto la stessa cosa. Quel che è certo è che questo mimetismo determina da tempo alleanze diplomatiche e spiega, da parte azera, la mobilitazione, durante i 44 giorni di guerra (27 settembre-10 novembre 2020), di reti jihadiste dalla Siria ma anche dal Pakistan.



Oltre alla novità dell’arsenale militare – e in particolare dei droni di fabbricazione turca o israeliana – schierato dall’Azerbaijan durante la sua guerra per riconquistare i distretti occupati e parte del territorio del Karabakh (Artsakh in armeno), la guerra fu anche di 44 giorni per la Turchia, alleata dell’Azerbaijan ma anche del Pakistan all’interno del Patto di Baghdad (1955) dopo il ritiro iracheno del 1959, guerra per procura tra le altre (Siria, Libia), che richiedeva il reclutamento e l’invio di mercenari e jihadisti dalla Siria ma anche dal Pakistan.



All’interno dell’Oic (Organizzazione per la cooperazione islamica), il Pakistan mantiene ovviamente legami con la Turchia, che di conseguenza determina i suoi buoni rapporti con l’Azerbaijan. Il Pakistan ha un’ambasciata a Baku e mentre resta difficile stabilire con precisione la storia delle relazioni bilaterali tra i due Paesi: esse si sviluppano in un contesto implicito di amicizia e consenso sulla questione del Kashmir. Uno dei fatti notevoli evidenziati durante la recente guerra del Karabakh da parte armena sarebbe stata la partecipazione dei jihadisti pakistani reclutati a Peshawar da Jamaat-i-Islami, Jaish-e-Mohammed e Al-Badr poi inviati a Baku, poi in Karabakh.



La solidarietà del Pakistan con l’Azerbaijan appare quindi totale e crea un clima di ostilità con l’Armenia. Nel 2016, l’Armenia ha bloccato la candidatura del Pakistan allo status di osservatore nell’Assemblea parlamentare dell’Organizzazione del Trattato di sicurezza collettiva di cui l’Armenia è membro, affermando che il Pakistan non solo ha rifiutato di stabilire relazioni diplomatiche con l’Armenia, ma ha anche rifiutato di riconoscerla ufficialmente come Stato indipendente e aggiungendo che la candidatura di Islamabad alla carica di osservatore non era ammissibile a causa del suo essere sistematicamente pro-Azerbaijan sulla questione del Karabakh. Durante la sua visita ufficiale in Azerbaijan, Nawaz Sharif, allora primo ministro del Pakistan, ha rivolto un discorso molto caloroso al presidente Ilham Aliev: “Il popolo pakistano saluta il ritratto del tuo illustre padre, il defunto Heydar Aliyev, e ammira il progresso e lo sviluppo del nostro fraterno paese, l’Azerbaijan, ottenuto attraverso il tuo saggio e abile governo. I progressi compiuti in Azerbaijan negli ultimi 25 anni sono stati particolarmente notevoli. […] Lo sviluppo e i successi dell’Azerbaijan sono motivo di orgoglio per tutti i paesi musulmani e un modello per tutti i paesi in via di sviluppo”.

Alla fine di settembre 2016, il quadro è diventato ancora più complicato con l’allentamento delle relazioni russo-pakistane, anche nel quadro dell’Unione eurasiatica. Sono emerse diverse nuove iniziative, come la prima esercitazione militare congiunta condotta sul suolo pakistano, mentre nel dicembre dello stesso anno la fregata pakistana Alamgir ancorò a Novorossiysk, una delle principali basi navali russe nel Mar Nero, per partecipare alle manovre.

Per quanto breve fosse, questa distensione russo-pakistana, sullo sfondo di profonde relazioni politiche, economiche e soprattutto militari tra Azerbaijan e Pakistan, ha contribuito ad allargare il divario tra Armenia e Stati Uniti. Tutti questi fattori sembrano quindi aver contribuito a fare dell’ultima guerra del Karabakh una meta ambita dei volontari o dei mercenari del jihad globale, di cui il Pakistan è uno dei fulcri.

A questo si deve aggiungere, dopo la breve guerra dell’aprile 2016 in Karabakh, l’ascesa delle relazioni militari bilaterali tra Azerbaijan e Pakistan: è bastato all’Armenia esporre con orgoglio i suoi missili Iskander russi durante la parata militare del 2016 (missili che, inoltre, hanno rivelato durante la guerra del 2020 un uso controproducente) che l’Azerbaijan a sua volta ha annunciato che i negoziati in corso con Islamabad riguardavano la consegna di equipaggiamento militare offensivo, missili a lungo raggio e Thunder-17 di fabbricazione cinese e pakistana e jet da combattimento.

Durante i 44 giorni di guerra, la variabile pakistana sembra quindi aver giocato ufficialmente e ufficiosamente un ruolo determinante a favore dell’Azerbaijan.

Nel 2021, l’Armenia sconfitta non ha quindi avuto altra scelta che continuare ad approfondire “simmetricamente” i propri rapporti con l’India: nel 2020 l’India si è aggiudicata un contratto di difesa del valore di 40 milioni di dollari per la consegna all’Armenia di autovelox. I due paesi invocano regolarmente l’urgente necessità di rafforzare i loro scambi a livello economico e militare. E l’India non risparmia sforzi nel portare avanti un ambizioso progetto di “corridoio nord-sud” che collega, attraverso il territorio dell’Armenia, il porto iraniano di Chabahar all’Eurasia e fino a Helsinki.

Se si realizzasse, come naturalmente chiede l’Armenia, l’Instc (corridoio internazionale di trasporto nord-sud) non sarebbe lontano dal resuscitare la cartografia dei circuiti armeni del grande commercio internazionale dell’era moderna. 

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