Il prossimo 20 gennaio Donald Trump si insedierà per la seconda volta alla Casa Bianca e la sua amministrazione dovrà mettere mano a diversi dossier. Al centro troveranno la guerra Ucraina, con in ballo la stabilità e la fine della stagnazione economica per la provincia più importante, l’Europa. Un po’ più in periferia troveranno il rebus siriano. Poi le fibrillazioni createsi tra sciiti, sunniti ed ebrei per il controllo del Medio Oriente.
Sullo sfondo ci sarà l’ombra del conflitto con la Cina, per ora in corso intorno a Taiwan ma che coinvolge tutto il sudest asiatico ed in prospettiva porterà alla sfida per un nuovo assetto mondiale multilaterale. Probabilmente, quello cinese sarà il dossier geopolitico più importante del 2025. Anche perché il presidente Xi Jinping nel suo discorso di fine anno ha affermato che nessuno può fermare la storia verso la riunificazione nazionale. Mentre a dicembre Pechino ha schierato circa 70 navi da guerra nelle acque prospicienti Taiwan, Giappone, Mar cinese orientale e meridionale. Non si tratta ancora di un atto di forza. Pechino mostra i muscoli. USA e Cina si sono confrontati per l’ultima volta nel Mar cinese nel 1995-1996 con il lancio di missili cinesi verso Taiwan e il dispiegamento di navi cinesi intorno all’isola. Gli USA risposero inviando nel mare di Taiwan la flotta del Pacifico, due porterei con i rispettivi gruppi navali. Pechino, conscia della sua inferiorità, abbandonò ogni proposito bellico.
Tuttavia, anche senza un conflitto aperto la tensione si sta alzando e l’obiettivo di Pechino pare per ora quello di spaventare Taiwan per influenzarne la politica. Possiamo trarre questa conclusione da qualche dato di fatto. Le navi che hanno partecipato alle esercitazioni cinesi di dicembre sono 90 tra marina e guardia costiera, di cui 70 da guerra. Mentre l’attuale flotta USA del Pacifico, stanziata tra il Giappone e Pearl Harbor, conta 5 portaerei, due navi appoggio anfibio e 140 unità navali.
Senza contare le basi USA disseminate nel quadrante Indo-Pacifico. Basterebbe questo, in caso di ostilità, per avere una abbondante potenza di fuoco a Taiwan ed avere anche forza navale per chiudere lo stretto di Malacca e strangolare i traffici marittimi cinesi. Detto questo, per le operazioni, occorrerebbero ai cinesi 500mila uomini per lo sbarco (in Normandia sono sbarcati un milione e mezzo di uomini). Un altro milione e mezzo servirebbero per il supporto tecnico-logistico. Non è un’operazione facile e veloce da organizzare. Ci accorgeremmo subito delle manovre in corso. Anche un paventato blocco navale cinese all’isola non pare praticabile, perché questo corrisponderebbe ad un analogo blocco contro la Cina. Nonostante questo, sull’isola cresce la preoccupazione. Il governo di Taipei vuole evitare mosse che possano essere usate come pretesti da Pechino. Inoltre Taiwan sta aumentando il budget per la difesa e sta implementando l’apparato industriale militare.
In questo quadrante non va sottovalutata l’importanza della Russia, della guerra in Ucraina e della ventilata possibilità che il gasdotto Nord Stream passi sotto il controllo di privati americani. Non a caso comunicati ufficiali russi addebitano a Kiev le grosse difficoltà europee dovute alla chiusura dell’ultimo gasdotto ucraino e ventilano la fantasiosa conquista russa dell’estremo oriente pacifico attraverso lanci di missili da crociera.
Russia e Cina sono alleate per forza, spinte dalla geopolitica americana. Dopo Taiwan la Cina potrebbe rivolgere le sue attenzioni alla Siberia, che i cinesi considerano occupata, basta vedere i nomi cinesi con cui a Pechino vengono indicate le città russe siberiane. Ed anche oggi sui blog russi la propaganda si mostra piuttosto contrariata della penetrazione cinese in Mali, considerata conquista russa, per l’estrazione del litio.
Una pace stabile in una Ucraina neutralizzata, magari con il Nord Stream a controllo americano in cambio della cessione alla Russia dei territori ucraini conquistati e un accordo di non ingerenza nelle ex repubbliche sovietiche (visto che è stato chiuso anche l’ultimo gasdotto attraverso l’Ucraina) potrebbe essere la narrativa giusta per entrambi, Trump e Putin, per non perdere la faccia davanti al mondo. Porterebbe di sicuro la Russia a guardare ad ovest, verso l’Europa e verso gli USA, potenze meno invadenti. Clienti che pagano gas e petrolio alla consegna, con euro o dollari, a prezzo pieno, mentre la Cina paga prezzi da saldo, in valuta nazionale e a rate. Come un cubo di Rubic, questi conflitti sono connessi e nel 2025 la nuova amministrazione USA dovrà comporli contemporaneamente.
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