Durante il recente incontro dell’Asean  tenutosi a Bangkok, il segretario di Stato americano Mike Pompeo ha fra l’altro posto l’enfasi sulla centralità del Mar Cinese meridionale e sulla rilevanza del fiume Mekong. Quale ruolo hanno, da un punto di vista strettamente geopolitico?

Incominciamo dal Mar Cinese meridionale. Per contenere l’ascesa economica e militare della Cina nel Pacifico, gli Stati Uniti – già con Obama – hanno intensificato la cooperazione economica e militare con i loro alleati dell’Asia-Pacifico (sul piano militare in particolare con le Filippine, il Vietnam, l’Indonesia e la Malaysia) sia attraverso l’Asec che attraverso l’Asean, associazioni entrambe storicamente legate alla Cina sul piano economico.



In particolare il conflitto tra Stati Uniti e Cina è relativo al Mar Cinese meridionale, che geograficamente parlando è una sorta di porzione dell’Oceano Pacifico che si allunga dallo stretto di Malacca fino allo stretto di Taiwan abbracciando un’area di 648 miglia quadrate. Ora, al di là delle contese strettamente territoriali, è necessario sottolineare che il commercio petrolifero che passa attraverso lo stretto di Malacca è oramai considerevolmente superiore sia al commercio petrolifero che attraversa il Canale di Suez sia soprattutto a quello che attraversa il canale di Panama. Per quanto riguarda la Cina infatti il 90% delle importazioni petrolifere passano proprio per il Mar Cinese meridionale. A tale scopo la Cina ha posto in essere infrastrutture permanenti e isole artificiali su alcuni atolli negli arcipelaghi Spratly e Paracel allo scopo di sorvegliare la sua principale rotta petrolifera. Sia per il controllo del commercio marittimo che per le risorse di petrolio e gas, Pechino rivendica la sovranità su circa l’80% del Mar Cinese Meridionale in costante conflitto con Vietnam, Taiwan, Filippine, Brunei e Malaysia.



Vediamo adesso il ruolo, in questo contesto certamente ampio e articolato, che riveste il fiume Mekong. Lungo 4.350 km, è non solo il dodicesimo fiume del mondo ma è considerato la più grande riserva di pesca nell’entroterra del mondo secondo solo all’Amazzonia. Il Mekong costituisce una fonte di sostentamento per circa 60 milioni di persone che vivono lungo il suo corso, e cioè gli altipiani tibetani, il Laos, la Thailandia, la Birmania, la Cambogia e il Vietnam, prima di confluire nel Mar Cinese meridionale. Ebbene, lo scopo della Cina è di costruire la Sambor Hydropower Dam, diga progettata dalla China Southern Power Grid Company, impresa cinese che aveva già costruito la Lower Sesan Hydropower Dam in Cambogia con un investimento di 816 milioni di dollari e con una capacità produttiva di 400 megawatt. D’altronde già nel 2014 Pechino aveva portato a compimento la costruzione dell’infrastruttura idrica di Nuozhadu, in grado di produrre 5.800 megwatt di energia.



Ora, al di là delle proteste delle associazioni ambientaliste e del relativo impatto ambientale che la diga progetta dalla Cina avrà sull’ecosistema e sulla economia-agricoltura e pesca in particolare delle popolazioni coinvolte, quali sono le ragioni che stanno spingendo la Cina a costruire infrastrutture idriche sempre più numerose?

Innanzitutto, il bisogno di acqua determinato dell’enorme crescita economica e demografica sia cinese che asiatica nel suo complesso; in secondo luogo la scarsità dell’acqua dolce determinata dai mutamenti rapidi del clima. In terzo luogo, la costruzione di infrastrutture idriche così imponenti permetterebbe alla Cina di incrementare la sua proiezione di potenza in relazione al commercio fluviale, consentendo alla Cina il passaggio di navi fino a 500 tonnellate; ma nel contempo le consentirebbe di controllare le risorse idriche di quei paesi come il Vietnam che si affacciano sul Mar Cinese meridionale in modo più efficace.

Proprio per questo la Cina ha cercato di costruire relazioni sempre più fitte con il Laos, la Cambogia e Myanmar finendo per diventare il più importante investitore straniero per progetti infrastrutturali.

Dal punto di vista geografico il fiume Mekong confluisce proprio nel Mar Cinese meridionale attraverso il quale passano merci per un valore complessivo di 3 trilioni di dollari ogni anno e, non a caso, la cinese Export-Import Bank intende promuovere rilevanti investimenti infrastrutturali come installazioni portuali, ferrovie ad alta velocità in Laos, Singapore e Vietnam e un oleodotto che dal porto birmano di Kyaukpyu arriva alla Cina.

In conclusione, la dinamica conflittuale tra la Cina e gli Stati Uniti ancora una volta sottolinea l’importanza del controllo del commercio marittimo, ma sottolinea anche l’importanza delle infrastrutture idriche, come la diga di Mosul o la diga siriana di Tabqa in Medio oriente per il controllo dell’acqua e quindi come strumento per la proiezione economica ma anche come affermazione della sovranità degli Stati. Non bisognerebbe dimenticare che la Guerra dei Sei Giorni combattuto nel 1967 tra Israele da un lato ed Egitto, Siria e Giordania dall’altro consentì a Israele di conseguire il controllo sulle risorse d’acqua dolce del Golan, sul Mare di Galilea e sul fiume Giordano.