Fra le interessanti rivelazioni che emergono dal saggio scritto dalla giornalista Stefania Maurizi e intitolato Il potere segreto. Perché vogliono distruggere Julian Assange e WikiLeaks (Chiarelettere, 2021) ci sono quelle relative ai rapporti amorosi e amorevoli tra Italia e Iran duramente contestati dagli Usa, come risulta dai vari documenti emersi dall’ambasciata americana e intercettati da WikiLeaks. Incominciamo dalla banca romana Sepah.
Secondo la giornalista italiana “da lì sono passate tante transazioni sospette ricondotte ad aziende iraniane, che hanno messo in piedi pezzo per pezzo il programma missilistico clandestino dei Pasdaran. Ma quando nel dicembre 2006 il sottosegretario al Tesoro americano, Stuart Levey, capo dell’intelligence finanziaria, arriva a Roma e ne chiede la chiusura, si sente rispondere dal direttore generale del ministero delle Finanze, Vittorio Grilli, che le irregolarità della Sepah non sono poi così serie. Se le regole fossero applicate così rigorosamente, argomenta Grilli, l’Italia sarebbe senza banche. Levey non la prende bene e spiega agli italiani che la filiale di Roma della Sepah esiste sostanzialmente per un unico cliente: l’Aerospace Industries Organization, azienda colpita dalle sanzioni Onu perché determinante per il programma missilistico di Teheran”.
Nonostante le numerose pressioni gli americani non riescono a portare a termine la loro operazione. Infatti la banca viene solo commissariata. È interessante il fatto che dai documenti di WikiLeaks emerge un rapporto molto stretto tra i funzionari dell’ambasciata americana e la Banca d’Italia. Alcuni funzionari della Banca d’Italia – i cognomi rimangono rigorosamente anonimi – informano l’ambasciatore americano che dal loro punto di vista la banca romana doveva essere chiusa, come sostenuto dall’allora governatore Draghi fedelissimo ieri come oggi agli Stati Uniti.
Ma anche gli affari della nostra multinazionale Eni in Iran sono malvisti dagli Stati Uniti. Eni è presente in Iran da oltre 50 anni e nel 2008 investiva 3 miliardi di dollari nel settore petrolio e gas. Nonostante le sanzioni contro l’Iran, Eni è riuscita a sottrarsi grazie a un’intesa tra gli Stati Uniti d’America e l’Europa. Tuttavia la continua presenza della nostra multinazionale rappresenta un fattore di rischio per gli interessi americani e quindi un fattore di attrito nelle relazioni italiane ed americane. Lo stesso approccio usato nei confronti dell’Iran d’altra parte era stato usato anche nei confronti della Libia. Eni infatti costruisce relazioni commerciali con gli Stati sul lungo termine, e riguardo alla Libia Eni aveva creato una joint venture con il governo libico, mettendo funzionari libici nel consiglio di amministrazione. Quando la Libia era diventata la bestia nera dell’America, l’azienda era riuscita comunque a resistere alle pressioni americane, grazie a questa joint venture. Lo stesso approccio viene quindi usato dalla nostra multinazionale nei confronti dell’Iran. Ma quali sono i dati effettivi nell’ambito dell’import-export tra l’Italia e l’Iran?
L’Italia importa dall’Iran soprattutto petrolio e prodotti petroliferi per un totale di 4 miliardi di euro (le cifre si riferiscono al 2007) ovvero meno del 2% delle importazioni totali italiane. Quanto all’export verso l’Iran questo è ancora meno significativo perché arriva a soli 1,8 miliardi di euro. Tuttavia è significativa un’osservazione fatta dall’ambasciatrice americana Dibble sui rapporti tra la politica italiana e le multinazionali come Eni e Enel: “Anche se è un fatto ben noto a chi si occupa di faccende italiane, è sempre uno choc per la maggior parte degli osservatori venire a sapere che il ministero degli Esteri ha diplomatici di alto livello assegnati all’Eni e all’Enel come consiglieri diplomatici. In assenza di un ministero dell’Energia indipendente, spiega, questi consiglieri assicurano che il flusso di informazioni tra il governo e le aziende del settore sia robusto. E questo fatto stimola la domanda: chi fa la politica estera dell’Italia?”.
Fa sempre una certa impressione ascoltare le lezioni di morale da un paese come gli Stati Uniti, che durante la guerra fredda hanno sostenuto diverse dittature militari in America latina come in Africa in funzione anticomunista, ed è ancora più significativo e commovente il fatto che proprio gli Stati Uniti si scandalizzino per l’influenza che le multinazionali hanno avuto – e hanno – sulle decisioni politiche del nostro governo; quando basterebbe fare riferimento al ruolo che hanno avuto le multinazionali americane petrolifere come la Standard Oil nel condizionare profondamente le scelte di politica estera americana bei paesi del Golfo.
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