I dati economici dell’Occidente si fanno sempre più cupi e minacciosi, il Fmi annuncia una crescita globale del 1% nel 2023 (forse voleva dire recessione?), il gas in Europa non arriva e si prospetta un inverno al freddo (l’Ue invita a consumare di meno), il dollaro raggiunge la parità con l’euro (vecchio pallino americano). Si moltiplica il malcontento sociale in tutte le capitali europee e vedremo se dopo questa torrida estate non si trasformerà in proteste (forse anche violente).
L’economia dello Sri Lanka è stata distrutta non dalla Cina ma da un corrotto presidente pluri-indagato e fuggiasco che nel 2020 aveva deciso l’immediata trasformazione dell’intera agricoltura isolana in “organica” (ricevendo fondi Ue e Banca Mondiale) per favorirne l’export alle multinazionali agroalimentari, facendo così crollare la produzione e generando la fame (e la rabbia popolare). Oggi, lo Sri Lanka è l’emblema tragico, come l’Ucraina, di politiche sbagliate e irresponsabili dei leader nazionali e delle grandi potenze. Intanto, proprio le grandi potenze si dedicano al grande gioco in Medio oriente. Europa: non pervenuta.
Non è a caccia di forniture energetiche, di cui il suo Paese non ha bisogno, ma Joe Biden nei suoi 4 giorni tra Israele e Arabia Saudita aspira a consolidare gli accordi di Abramo che, firmati durante la presidenza Trump a settembre 2020, avevano un solo obiettivo nascosto dietro la normalizzazione delle relazioni tra Israele, Bahrain ed Emirati: rafforzare il fronte anti-Iran, nemico in particolare degli Emirati e di Israele. Accordi che vacillano perché le monarchie del Golfo, Arabia Saudita in testa, non disdegnano un certo non–allineamento nei confronti della Russia, della Cina e persino dell’Iran.
Accolto in Israele da misure di sicurezza ben visibili con lo schieramento di batterie mobili di missili–antimissile (Iron Dome) – che simbolicamente fanno eco a Netanyahu e Ganz che nel mezzo di un’ennesima campagna elettorale sperano di creare un sistema mediorientale di difesa aerea (Mead, Middle East Air Defense) integrando i paesi del Golfo contro l’Iran –, Biden incontra non poche difficoltà politiche in un Medio oriente in piena ebollizione e dinamiche di nuove alleanze.
Tra i tanti problemi da affrontare, Biden sa bene che Israele ha scelto la neutralità (come la maggioranza dei paesi del Sud Globale) rispetto all’intervento militare russo in Ucraina, che fa molti affari con la Cina dai porti al 5G, e che segretamente dialoga con l’Iran. Sulle questioni nucleari – “il negoziato con l’Iran è in stallo mentre il programma iraniano è diventato così avanzato che altri nella regione sarebbero stati tentati di copiarlo aumentando le tensioni nella regione” – Biden non può ignorare che Israele possiede armi nucleari dal 1960, mantiene una politica di opacità nucleare non confermando mai ufficialmente l’esistenza del suo programma nucleare, e che non ha mai firmato il Tnp (Trattato di non proliferazione) tant’è che produce e schiera una vasta gamma di missili balistici tecnologicamente sofisticati, missili da crociera e sistemi di difesa missilistica.
Per rassodare le relazioni e inviare un avvertimento a Russia e Iran, Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza di Biden, ha dichiarato che “l’Iran si prepara a consegnare alla Russia i suoi temibili droni armati fornendo anche formazione a militari russi”. Dichiarazioni prontamente smentite sia dall’Iran che dal Cremlino.
Che potrà ottenere Biden in Israele? Poco. Come ha scritto lo stesso Biden, la “mia missione è di riorientare” le relazioni dei Paesi mediorientali, in particolare quelle dell’Arabia Saudita. Quanto ai palestinesi, Biden farà un breve inchino protocollare con l’Autorità palestinese, e nulla di più. D’altra parte, Biden ha chiarito quando è entrato in carica che voleva de-enfatizzare l’attenzione americana sul Medio Oriente e concentrarsi sulla Cina – un riflesso della sua convinzione che Washington abbia sprecato 20 anni quando avrebbe dovuto concentrarsi su un vero concorrente alla pari.
Quindi, il significato più importante di questa tappa mediorientale di Biden è il suo volo diretto da Israele a Jedda (Arabia Saudita), per rinsaldare simbolicamente le relazioni tra i due Paesi.
Altra tappa imbarazzante per Biden, visto che lui stesso aveva definito il principe ereditario Saudita (Mohammed Bin Salman) un “paria”. La Casa Bianca fa sapere che l’intenzione di Biden non è di visitare l’Arabia Saudita quanto di incontrare più leader della regione sotto forma di Consiglio di cooperazione del Golfo, un gruppo di sei stati guidati dall’Arabia Saudita, così come i leader di altre tre nazioni arabe, Egitto, Iraq e Giordania.
Ma questa volta, l’americano Biden deve tener conto del fatto che la posizione degli Stati Uniti nel regno Saudita, in particolare, è che l’influenza che gli Stati Uniti una volta esercitavano è profondamente diminuita. La Cina è un attore molto più grande a livello globale. Ora è il più grande importatore mondiale di petrolio e ha lavorato per rafforzare le sue relazioni con l’Arabia Saudita. Il recente rapido aumento dei prezzi ha anche portato una manna economica al bilancio Saudita, al suo fondo patrimoniale e al valore della compagnia petrolifera nazionale Saudi Aramco, che si trova comodamente come la società più preziosa del mondo.
Oggi, l’Arabia Saudita è meno incline ad allinearsi solo con gli Stati Uniti. Infatti, preferisce impegnarsi al non allineamento e ai propri interessi nazionali. Il suo potere e la sua influenza vanno oltre il semplice petrolio abbondante. Bin Salman si impegnerà in un nuovo patto Usa–Arabia Saudita del XXI secolo? Difficile dirlo. Più probabilmente, otterrà ciò che vuole attraverso una strategia di non allineamento e continuerà a essere corteggiato da Cina e Stati Uniti. Il risultato più tangibile del viaggio mediorientale di Biden è “la sua presenza”.
Sul fronte opposto, pochi giorni dopo l’ultima tappa mediorientale di Biden, il Cremlino conferma la visita di Putin in Iran, dove incontrerà anche il presidente turco Erdogan. Mentre i media occidentali presentano questa visita come un atto disperato per mostrare al mondo che la Russia non è isolata, Putin ha un’agenda più sostanziale e strategica. Rimarcando il ventennale dell’accordo di cooperazione tra Iran e Russia (firmato nel 2001), è intenzione di Putin e del presidente iraniano Raisi di firmare un nuovo accordo, più ampio e approfondito nelle aree della sicurezza, dei trasporti, del commercio (particolarmente energetico), e del settore bancario e finanziario.
D’altra parte, la Russia gioca un ruolo cruciale anche nei negoziati sul nucleare iraniano (Jcpoa) che vedono proprio la Russia garante dello stoccaggio del materiale atomico iraniano. Dal punto di vista russo, il sistema post-sovietico di sicurezza (Csto, Collective Security Treaty Organization) al quale, in Asia occidentale, solo l’Iran è stato inviato sin dal 2007, necessità nella congiuntura attuale di consolidarsi per gestire anche l’area caucasica e mediorientale (in particolare Siria, Iraq).
Questa necessità fa capire meglio come anche la presenza della Turchia, nonostante la sua appartenenza alla Nato, sia estremamente rilevante. Negoziare l’esportazione del grano dall’Ucraina è una comoda occasione per discutere di ben altro. Non va dimenticato che sia la Turchia che l’Iran sono destinatari dei sistemi missilistici russi S-400 (l’Iran non li ha ancora ricevuti). L’Iran gioca le sue carte in un astuto non allineamento. Infatti, l’Iran ha concluso con la Cina un Patto di cooperazione venticinquennale e qualche mese fa ha condotto esercitazioni navali trilaterali, con Russia e Cina, seguite da una visita di militari cinesi di alto livello a Teheran dove si è certamente discusso anche dell’adesione dell’Iran alla Shanghai Cooperation Organization (Sco).
Ed è proprio la triangolazione che accresce l’importanza strategica della visita di Putin a Teheran. L’Iran potrebbe usare l’accordo ventennale con la Russia per segnalare che non rifuggirà da strategie alternative se gli Stati Uniti dovessero sostenere sanzioni economiche. Raisi non aspetterà l’accordo nucleare per determinare come andrà il resto della sua presidenza.
Per quanto riguarda i negoziati separati tra Iran, Russia e Occidente, il potenziale di un patto ventennale Iran-Russia è forse più significativo per l’Occidente di quanto non lo sia per l’Iran e la Russia stessa. Nessuna delle grandi potenze nucleari – Usa, Russia, Cina, India – vede di buon occhio il progresso dell’arricchimento nucleare iraniano. È evidente che quanto descritto non è business as usual.
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