In questa complessa fase di transizione, la Cina emerge come l’unica potenza capace di delineare una rotta diplomatica lungimirante e razionale. Più di un anno fa avevamo scritto che Pechino avrebbe cercato di emergere come mediatore nella guerra russo-ucraina, puntando sul fatto che soggetti incapaci di assicurarsi una vittoria schiacciante si sarebbero trovati nella necessità di cercare una soluzione condivisa con i propri alleati. Oggi, quella scommessa si è rivelata vincente, e la Cina passa all’incasso.
Secondo quanto riportato da The Kyiv Independent, i cinesi stanno valutando la possibilità di inviare truppe in Ucraina nell’ambito di una missione di peacekeeping. Questa mossa non è tanto un invito a Mosca a rivedere la propria posizione, quanto la dimostrazione della capacità di Xi Jinping di gestire il partner russo, grazie ai legami di dipendenza economica che si sono consolidati negli ultimi anni.
Parliamo di un autentico capolavoro diplomatico, che si misura nella capacità di conciliare elementi apparentemente contraddittori: da un lato, la disponibilità a inviare truppe in Ucraina a garanzia della sicurezza del Paese, dall’altro, la partecipazione a esercitazioni militari con la Russia, come quelle svoltesi l’11 marzo nel Golfo dell’Oman. Una condotta all’apparenza contradditoria ma che in realtà dimostra l’abilità di Pechino nel muoversi in modo flessibile su più fronti strategici mantenendo, al contempo, solidi i rapporti con i Paesi amici.
La valenza globale della proiezione diplomatica cinese è confermata dai possibili esiti del recente vertice tra Giappone, Cina e Sud Corea, che potrebbe avere una portata epocale. A riguardo molti analisti hanno parlato di un “historical turning point” capace di ridefinire gli equilibri geopolitici regionali, grazie alla capacità di Pechino di agire non solo come un mediatore, ma come una potenza in grado di contenere le ambizioni e l’aggressività della Russia e della Nord Corea.
Il vertice del 22 marzo ha visto leader asiatici impegnarsi a favore di una vera “cooperazione multilaterale” grazie alla quale superare le vecchie rivalità e aprire una nuova fase di prosperità economica e sicurezza condivisa. Il trilaterale, avvenuto dopo quattro anni in cui le potenze regionali avevano avuto rapporti tesi, segna il ritorno della volontà di tornare a parlarsi e di fare affari assieme e quindi di rinsaldare la tradizionale interdipendenza economica che ha storicamente caratterizzato l’Asia orientale. Relazioni che possono essere interrotte in qualsiasi momento a causa dalle tante tensioni geopolitiche e geo-economiche della regione, ma che sono fondamentali per le economie dei tre paesi asiatici.
La Cina si propone dunque come garante della stabilità e mediatore globale attraverso una strategia che, in Europa, si esprime con la possibilità di partecipare a una missione di peacekeeping in Ucraina, e in Asia come soggetto dialogante e promotore dello sviluppo economico.
Pechino è stata in grado ci trovare un complesso equilibrio fra il rafforzamento dei rapporti di dipendenza con la Russia, la ricerca di un ordine multipolare in Asia e l’impegno a proiettare la propria influenza su scala globale. Un risultato reso possibile dal fatto che la Cina è riuscita a farsi garante della stabilità in un mondo multipolare, utilizzando l’economia e la diplomazia come leve per contenere le tensioni internazionali.
Sono ancora tante le fonti di incertezza e di instabilità e rimangono le criticità strutturali della sua economia, fattori che possono minare in qualsiasi momento i successi cinesi, ma è innegabile che agli occhi del mondo – Asia e Global South in particolare – la Cina risulti essere il soggetto più credibile e razionale.
Dopo aver lasciato mano libera a Russia e Nord Corea, ora Pechino fa capire al mondo chi comanda. Una successo diplomatico che il suicido degli occidentali rischia di tramutare in una vittoria epocale.
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