L’influenza globale della Cina viene ben descritta nel rapporto dell’Insititut de Récherche Strategique de l’Ecole Militaire (Irsem) francese che mostra l’estensione delle reti sviluppate dalla Cina nel giro di pochi anni. Frutto di due anni di lavoro, il rapporto, Chinese Influence Operations, redatto da Paul Charon e Jean-Baptiste Jeangène Vilmer, costituisce un documento di capitale importanza per comprendere la strategia di dominio globale da parte della Cina.
Per molto tempo si è detto che la Cina, a differenza della Russia, cercasse più di essere amata che temuta; che voleva sedurre, proiettare un’immagine positiva di sé nel mondo, suscitare ammirazione. Pechino non ha rinunciato alla seduzione, alla sua attrattiva e alla sua ambizione di plasmare gli standard internazionali, ed è molto importante che il Partito comunista cinese non “perda la faccia”. Allo stesso tempo, però, Pechino sta attuando una strategia sempre più di infiltrazione e di coercizione: le sue operazioni di influenza si sono notevolmente rafforzate negli ultimi anni e i suoi metodi assomigliano sempre più a quelli impiegati da Mosca. È un “momento machiavellico” nel senso che Pechino sembra ormai credere che, come scriveva Machiavelli ne Il Principe, “è più sicuro essere temuti che essere amati”. Ciò corrisponde quindi a una “russizzazione” delle operazioni di influenza cinese.
Secondo il report i concetti importanti per comprendere le operazioni di influenza cinese includono quelli del “Fronte Unito” – una politica del Pcc che consiste nell’eliminare i suoi nemici interni ed esterni, controllare i gruppi che possono sfidare la sua autorità, costruire una coalizione attorno ad esso e di proiettare la propria influenza all’estero – e delle “Tre Guerre”, che rappresentano l’essenza della “guerra politica” cinese, una forma di conflittualità non cinetica che mira a vincere senza combattere, plasmando un ambiente favorevole alla Cina. Intrapresa in tempo di guerra come in tempo di pace, la strategia è costituita dalla guerra dell’opinione pubblica, dalla guerra psicologica e dalla guerra del diritto (che è simile, senza corrispondere pienamente, a quella che in inglese viene chiamata la lawfare).
Un altro concetto, di importazione sovietica, è utile anche per descrivere il repertorio utilizzato da Pechino: quello delle “misure attive”, tra cui disinformazione, contraffazione, sabotaggio, discredito, destabilizzazione dei governi stranieri, provocazioni, operazioni fake flag e manipolazioni volte a indebolire la coesione sociale, reclutamento di “utili idioti” e creazione di strutture di facciata (organizzazioni di facciata).
I principali attori che attuano le operazioni di influenza cinese sono emanazioni del partito, dello Stato, dell’esercito e delle compagnie. All’interno del partito si tratta in particolare del Dipartimento di Propaganda, incaricato dell’ideologia, che controlla l’intero spettro dei media e tutta la produzione culturale del Paese; l’United Front Labor Department (Dtfu), con dodici uffici, che riflettono i suoi principali obiettivi; il Department of International Liaisons (Dli), che intrattiene i rapporti con i partiti politici esteri; l’Ufficio 610, che ha agenti in tutto il mondo che operano al di fuori di qualsiasi quadro legale per sradicare il movimento del Falun Gong; la Lega della Gioventù Comunista (Ljc), allo stesso tempo cinghia di trasmissione verso i giovani, vivaio per i futuri quadri del partito e forza mobilitabile in caso di necessità, anche se non è formalmente una struttura di partito ma una struttura di massa organizzata.
All’interno dello Stato, due strutture in particolare sono coinvolte nelle operazioni di influenza: il ministero della Sicurezza dello Stato (Mse), che è la principale agenzia di intelligence civile, e l’Ufficio per gli affari di Taiwan (Bat), che si occupa della propaganda a Taiwan.
All’interno dell’Esercito di Liberazione Popolare (Pla), è la Forza di Supporto Strategico (Fss), e in particolare il Dipartimento dei Sistemi di Rete, che ha le capacità e le missioni nel campo dell’informazione. In particolare, il principale attore individuato in quest’area è la Base 311, che ha sede nella città di Fuzhou, e che è dedita all’attuazione della strategia delle “Tre Guerre”. Gestisce anche società di media che fungono da coperture civili e un hotel fasullo che in realtà è un centro di formazione. Secondo il rapporto, 2 milioni di cittadini cinesi sarebbero pagati a tempo pieno per trasmettere la propaganda di Pechino e 20 milioni agirebbero part-time, su richiesta, per inondare i social media e creare l’illusione di movimenti spontanei.
Infine, sia le aziende pubbliche che quelle private svolgono un ruolo importante nella raccolta dei dati da cui l’efficacia delle operazioni di influenza dipende dal sapere chi influenzare, quando e come. In particolare, le infrastrutture, in particolare edifici e cavi sottomarini, possono essere utilizzate per la raccolta dati; così come nuove tecnologie, comprese le piattaforme digitali WeChat, Weibo e TikTok, aziende come Beidou e Huawei e database che offrono informazioni su ciò che che gli studiosi chiamano “tecno-autoritarismo” o “autoritarismo digitale” cinese e sono usati per alimentare e preparare operazioni di influenza all’estero.
Le azioni messe in atto da Pechino nelle sue operazioni di influenza all’estero rientrano in due obiettivi principali e non si escludono a vicenda: da un lato, sedurre e soggiogare il pubblico straniero, facendo una narrazione positiva della Cina, come evidenziato da quattro storie (il “modello” cinese, tradizione, benevolenza e potere); dall’altro e soprattutto infiltrarsi e costringere. L’infiltrazione mira a penetrare lentamente nelle società avversarie per bloccare ogni inclinazione ad agire contro gli interessi del partito. La coercizione corrisponde alla graduale espansione della diplomazia “punitiva” o “coercitiva” fino a diventare una politica di sanzione sistematica contro qualsiasi Stato, organizzazione, società o individuo che minacci gli interessi del partito. Entrambi di solito passano attraverso una nebulosa di intermediari. Tali pratiche si rivolgono in particolare alle seguenti categorie:
– le diaspore, con il duplice obiettivo di controllarle affinché non rappresentino una minaccia al potere (Pechino sta conducendo una campagna di repressione transnazionale che, secondo l’Ong Freedom House, è “la più sofisticata e completa del mondo”) e mobilitarli per servire i suoi interessi.
– i media: l’obiettivo esplicito di Pechino è quello di stabilire “un nuovo ordine mondiale dei media”.
Per fare ciò, dal 2008 il governo ha investito 1,3 miliardi di euro all’anno per controllare meglio la propria immagine nel mondo. I grandi media cinesi hanno una presenza globale, in più lingue, in più continenti, e su tutti i social network, compresi quelli bloccati in Cina (Twitter, Facebook, YouTube, Instagram), e stanno investendo molti soldi per amplificare artificialmente la loro pubblico in linea. Pechino sta anche cercando di controllare i media di lingua cinese all’estero; con successo, dal momento che il Pcc ha un monopolio virtuale di fatto, e i media mainstream. Infine, anche il partito-Stato è interessato al controllo, influenzando ogni fase della filiera dell’informazione globale, con televisione, piattaforme digitali e smartphone.
(1 – continua)
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