Il 2020 si è aperto per l’Iran con l’uccisione del capo supremo delle Guardie rivoluzionarie, Qasem Soleimani, e si sta concludendo con un altro omicidio illustre, quello dello scienziato responsabile del progetto nucleare, Mohsin Fakhrizadeh. Se nel primo caso fu evidente che a compiere l’eliminazione erano stati gli americani, nel secondo episodio il quadro si presenta meno chiaro, anche se sembra esserci dietro Israele. La domanda, che abbiamo sottoposto al professor Rony Hamaui, docente dell’Università Cattolica di Milano, esperto di geopolitica e di finanza islamica, è obbligatoriamente se questo nuovo assassinio sia collegabile alla paura di Israele che Biden possa riaprire gli accordi con Teheran sul nucleare, come ha dichiarato lui stesso, interrotti dal suo predecessore Donald Trump: “Non credo, penso piuttosto si tratti di un ulteriore gesto per portare l’Iran a un tavolo di trattative in condizioni sempre più deboli”.



Le accuse di Teheran per la morte dello scienziato si sono dirette subito verso Israele. Ritiene possa essere stato un gesto motivato dalla paura che Biden riapra le trattative sul nucleare con l’Iran?

No, questa è una ipotesi che non mi convince.

Come mai?

Chiunque l’abbia fatto, al momento non abbiamo gli elementi per valutarlo, credo che abbia perseguito l’obbiettivo di indebolire ulteriormente l’Iran, che in questo momento per motivi economici e non solo si trova in una pesante condizione di debolezza. Ci sarà certamente un tavolo di discussione a cui si vuol far arrivare l’Iran nella maggior debolezza possibile, per far emergere proprio questa debolezza, che di fatto esiste già. Trump ha avuto molti difetti, ma è stato molto cinico.



In che senso?

In un mondo musulmano estremamente diviso, si possono fare due cose. La prima: stare sopra le parti e accontentare un po’ uno e un po’ l’altro, quello che aveva fatto Obama per capirci. Oppure schierarsi da una parte, ed è quello che ha fatto Trump. Ha preso una parte del mondo musulmano come l’Arabia Saudita ed è andato contro la parte sciita. La parte sunnita, rappresentata dalla Turchia, è rimasta in un limbo. Questo oggettivamente ha indebolito la parte iraniana, che si è ritrovata da sola contro tutti. Credo quindi che questa ultima uccisione non faccia altro che ripetere questo schema di indebolimento iraniano.



Uno schema cominciato con l’uccisione di Soleimani, è così?

Assolutamente sì. Ci sarà un tavolo di trattative con un Iran molto più debole di quanto non fu ai tempi dell’accordo sul nucleare. E credo che Biden potrebbe fare due cose: o tornare alla vecchia politica americana di sedersi a capotavola ascoltando tutti o proseguire la politica di Trump. Non credo lo farà, ma non potrà prescindere dalla situazione creata da lui e forse ne beneficerà.

Che cosa intende?

Avere un Iran più debole non dispiace neanche a Biden.

Ma un Iran più debole in Medio Oriente cosa comporta?

In parte potrebbe portare un po’ di riequilibrio rispetto alla visione trumpiana. Biden vorrà continuare a fare il capotavola, ma non potrà tenere conto di alcune cose successe in questi quattro anni.

Le sanzioni rischiano di accelerare una crisi interna?

Questa è la grandissima paura del regime. Alle sanzioni si è unito il Covid, che ha peggiorato la situazione, tanto che l’Iran è il più toccato dei paesi islamici. Questa debolezza economica e anche del regime un po’ coincidono.

In Medio Oriente, con un Iran sempre più isolato, cosa potrà accadere?

Isolato in parte. Si è costruito una cintura di alleanze con l’Iraq, la Siria, la Striscia di Gaza, una parte del Libano. E’ isolato, però ha un micro impero di alleanze che comunque lo sostengono.