È un mondo strano quello in cui il cospirazionismo diventa mainstream. Da tempo si percepiva una crescente ostilità nella società cinese nei confronti degli Usa, ma la dichiarazione del portavoce del ministero degli Esteri cinese con cui sosteneva che fosse stato l’esercito statunitense a portare, durante i Giochi militari dell’ottobre 2019, l’epidemia a Whuan, è decisamente irrituale, soprattutto se si considera che è stata seguita dalla richiesta fatta dal Global Times, un giornale prodotto dal Quotidiano del popolo, l’organo ufficiale del Partito comunista cinese, al governo Usa circa la sospetta chiusura di un laboratorio militare specializzato nella ricerca su malattie infettive, avvenuta in concomitanza dello scoppio dell’emergenza sanitaria.
A conferma del clima teso fra Cina e Stati Uniti si aggiunge l’annuncio fatto dal governo di Pechino in merito all’intenzione di espellere tredici giornalisti di importanti testate come New York Times, Wall Street Journal e Washington Post. Una notizia che deve far riflettere sul fatto che uno dei campi di battaglia più cruenti di questa strana guerra è proprio quello dell’informazione, con la quale si cerca di influenzare l’opinione pubblica, condizionandone quindi le scelte. Una forma raffinata della propaganda, in cui è precipitata anche la stampa italiana. Un clima da guerra fredda che ha avvolto anche i nostri media, sui quali illustri commentatori si sono alternatati a decantare le virtù o i vizi dell’uno o dell’altro avversario.
Che siano giorni strani lo dimostra il tono trionfalistico con cui sono state accolte le due missioni dei medici cinesi e la generale reprimenda fatta all’Unione Europea colpevole di egoismo e disinteresse nei confronti dei destini del nostro paese. Il messaggio di una Cina solidale che manda mascherine al nostro paese a fronte della scelta della Germania di tenersi per sé tutte le forniture mediche ha decisamente fatto breccia nell’opinione pubblica del nostro paese e ha monopolizzato giornali e social per qualche giorno.
Piuttosto che soffermarsi sulla veridicità delle notizie che hanno bombardato l’infosfera del nostro paese, vale la pena riflettere sul cortocircuito del sistema dell’informazione, che però ha avuto il pregio di far emergere chiaramente un partito filo-cinese e uno più variegato di europeisti e atlantisti che procedono a ranghi sparsi e senza bussola. Una fase in cui il nostro paese è diventato l’avamposto di un conflitto fatto a colpi di notizie ed editoriali che fa prefigurare cosa succederà nell’immediato futuro.
Se l’Eurozona deve ancora trovare una strada che le faccia superare l’egoismo degli Stati nazionali, la Cina sembra aver superato la crisi sanitaria e mostra l’intenzione di passare all’incasso. In puro stile cinese, una situazione di crisi e debolezza viene tramutata in opportunità, trasformando una reale debolezza in forza esibita.
La passeggiata di Xi Jinping fra le strade di Whuan, fatta per celebrare la vittoria della guerra sul virus, ha avuto un impatto simbolico enorme. Per la prima volta dai tempi di Mao, la Cina viene vista, anche da un’opinione pubblica in piena crisi di panico come quella dei paesi occidentali, come un modello virtuoso in grado di affrontare l’incertezza di questi giorni. Lo slogan “dobbiamo fare come la Cina” ha un valore che trascende quello della contingenza ed evoca un vero e proprio modello alternativo a quello attuale, in cui convivono certezze, pianificazione e limitazioni delle libertà personali, che anche in Italia vede aumentare ogni giorno i suoi ammiratori.
La geopolitica, come il potere, non ammette il vuoto, una legge che la Cina conosce bene ed è pronta a utilizzare a proprio vantaggio. Verrebbe da chiedersi se in questi giorni l’Italia è entrata nella sfera di influenza cinese, come sembrerebbe confermare il dossier G5, e quali saranno i canali economici e istituzionali che veicoleranno il rapporto fra il nostro paese e il gigante asiatico. In una fase del genere il compito di una classe dirigente sarebbe quello di tracciare una strategia sul lungo periodo, mentre, come spesso accade, assistiamo al solito gioco su più tavoli, in cui vengono alternati bluff e rilanci disperati.
Ad ogni modo, anche un’impietosa analisi circa il valore della nostra classe dirigente non deve farci eludere la realtà dei fatti. Il mondo che seguirà questa crisi sistemica sarà diverso da quello che l’ha preceduto e la transizione non sarà breve. Il modo in cui la Cina ha risposto alla crisi in atto dimostra che ha tutte le intenzioni di rilanciare il suo protagonismo su più teatri e che le sue debolezze finiscono necessariamente a rendere il sistema ancora più instabile. Anche per questo motivo il desiderio di avere una Cina forte ha più simpatizzanti di quello che fino a ieri pensavamo.
Una partita, quella geopolitica, in cui l’Italia sembra ancora illudersi di poter continuare la “diplomazia dei giri di valzer” con cui aveva cercato una qualche forma di autonomia nel periodo che ha preceduto la Grande guerra, ma che in realtà riveste il ruolo di preda rispetto a chi ha la forza e la volontà di agguantarla, e in questo momento la Cina sembra essere intenzionata a capitalizzare il vantaggio accumulato in questa fase. Il modo sapiente con cui sta giocando le sue fiches sul tavolo delle influenze, conferma al momento le sue aspirazioni.
Ora c’è solo da attendere cosa faranno i nostri alleati storici e, una volta che ci sarà una risposta, potremo capire qual è la vera importanza che assegnano al teatro italiano.