C’è di fatto un allentamento dei rapporti tra Usa e Ue, e di conseguenza Paesi come l’Italia potrebbero inserirsi in eventuali spazi che si sono venuti a creare nella rete internazionale commerciale. Esistono “club” internazionali di Stati che si comportano assai diversamente rispetto alla Ue, in cui capita, ad esempio, che Lettonia o Polonia impongano linee economiche negative per le economie più consistenti del continente.



Il gruppo dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) nacque nel 2002 in Asia e lo spirito è di mutua crescita per interessi nazionali, oltre la retorica europea, spesso stantia. Al principio furono India, Cina e Russia: erano l’asse portante dell’organizzazione che promosse una cooperazione economica alternativa alla quale si aggregarono in seguito il Sudafrica ed il Brasile. L’apparato così strutturato venne creato in contrapposizione all’egemonia commerciale occidentale, con l’intento di rompere la globalizzazione Usa abbracciata dalla Ue.



Tra il 2002 ed il 2013 l’Occidente ha rafforzato la propria presenza militare in quasi tutti i teatri mondiali, dall’Iraq al Libano, all’Africa occidentale eccetera. I Brics fino a tutto il 2013 non hanno assunto altra forma che quella economica, sul modello della vecchia Cee, ma dal 2014 vi è stata una vera e propria inversione di tendenza, con il proposito di creare in parallelo una forza militare in grado di bilanciare il blocco occidentale. La Cina, secondo gli analisti, non è ancora al livello degli Usa, motivo per cui il presidente russo Vladimir Putin ed il ministro degli Esteri Sergei Lavrov hanno accresciuto il loro impegno dando vita a joint venture tra aziende russe e cinesi nel settore militare e strategico; la Russia di fatto si comporta come gli Usa in Europa, con il vantaggio però di avere una rappresentanza nell’organizzazione più globale. La strategia Brics infatti è “a cascata”, ovvero la Cina si occupa, ad esempio, di investimenti infrastrutturali in Sudafrica e Brasile, mentre la Russia opera più a livello militare.



Il progetto è ambizioso e l’attuale conflitto ucraino è diventato un test molto importante: Mosca andava da tempo cercando la possibilità di accrescere la propria presenza militare ad Est, ed in Ucraina, dove il Mar Nero rappresenta una vera e propria piattaforma di commercio mondiale.

La reazione di Usa e Ue è stata quella di non consentire il rifornimento delle navi russe di passaggio, ma l’impressione è che il blocco occidentale non abbia colto nel segno.

D’altronde gli occidentali appaiono divisi, da una parte i personalismi militari di Parigi e Londra, l’austerità economica di Berlino e l’eterna indecisione italiana. Putin tentò nel 2015 un colpo di mano economico proponendo ad Atene l’entrata nei Brics, ma i greci preferirono (anche perché non potevano fare altrimenti) rimanere con Bruxelles. Qualcuno ritiene che prima o poi la Grecia tornerà nel mirino dei Brics, magari in funzione della costruzione di un gasdotto proveniente dalla Russia, con la Turchia alla finestra.

Rimangono le enormi diversità tra i cinque Paesi fondatori: la Cina, per esempio, detiene il 55% del Pil e il 65% del commercio estero, produce oltre il 50% dell’energia e finanzia il 50% delle spese militari. L’India, che nel 2030 supererà la popolazione cinese, resta decisamente inferiore a Cina, Brasile e Russia, sia per Pil che per dimensioni territoriali e disponibilità di risorse naturali.

E l’Italia? Non è un mistero che russi e cinesi vorrebbero per l’Italia il ruolo di baricentro e di congiunzione nel Mediterraneo, un progetto a lungo termine che valorizzerebbe ulteriormente, nella sua ottica, Eni e Leonardo, come pure il mercato agroalimentare ed il settore del turismo.

Siamo forse alla fantapolitica economica, perché l’Italia dovrebbe sganciarsi da Bruxelles sul modello inglese, agganciarsi alla Banca Centrale Brics, con sede in Cina dal 2016, ma la sovranità rimarrebbe alla Banca d’Italia. Lo scoglio? L’euro: scatterebbero rappresaglie da parte del blocco occidentale, almeno senza accordi preliminari.

La banca “Brics”, attualmente “Banca di sviluppo”, ha un capitale di 50 miliardi di dollari e potrà contare su un fondo strategico di capitali di riserva per far fronte a eventuali crisi valutarie e alle pressioni a breve termine sulla liquidità, il Contingent Reserve Arrangement (Cra, Accordo sui fondi di riserva), con un potenziale di 100 miliardi di dollari.

La Cina contribuisce al fondo per 41 miliardi, Brasile, India e Russia per un ammontare di 18 ciascuno ed il Sudafrica per 5 miliardi. L’Italia potrebbe entrare con circa 18–19 miliardi di dollari (il costo di una fornitura di aerei, più o meno) e operare da zero, ovvero creandosi un proprio mercato d’area, in Asia ad esempio, senza trascurare America del Sud ed Usa.

Roma potrebbe svincolarsi dalla Bce tornando ad avere una sovranità monetaria non autarchica, agganciata al circuito economico Brics, un vero e proprio mondo economico parallelo, senza i vincoli del Wto e della globalizzazione che ha penalizzato il nostro Paese. Oltre a ciò il nostro Paese potrebbe ambire a ruolo diplomatico simile a quello svolto durante la Guerra Fredda, periodo tra i più brillanti per noi a livello internazionale.

Mario Draghi è troppo europeista per un tale progetto. Serve una classe politica che sia svincolata da ideologie (anche economiche) ed abbia a cuore l’interesse nazionale.

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