Difficile negare come da un punto di vista geografico il commercio mondiale si sviluppi attraverso il Golfo Persico, il Golfo di Guinea, il Mare del Nord, l’Alaska e i Caraibi. Come è altrettanto difficile negare che i principali snodi attraverso i quali il commercio globale transita siano – come più volte d’altronde sottolineato su queste pagine – il Canale di Suez, lo Stretto di Malacca e il Capo di Buona Speranza. Per quanto riguarda il canale di Panama il discorso è diverso, dal momento che la sua sottoutilizzazione dipende soprattutto dalla sua larghezza molto limitata.



Incominciamo a rivolgere la nostra attenzione allo Stretto di Hormuz, che costituisce uno di quegli snodi strategici essenziali per porre in essere la globalizzazione economica. Questo stretto infatti mette in collegamento il Golfo Persico e il Golfo di Oman, ed ha una lunghezza di 63 km con una larghezza di 40, dimensioni queste che certamente rappresentano un problema per l’attraversamento delle petroliere. Nonostante ciò il 30% del commercio mondiale di petrolio passa proprio per questo stretto e infatti 2.400 petroliere lo attraversano ogni anno.



Passiamo adesso ad un altro snodo strategico di solito poco considerato dagli analisti distratti e cioè il Pas-de-Calais, che non solo viene attraversato da 400 navi ogni giorno ma è indubbiamente lo stretto più trafficato al mondo dalla marina mercantile, poiché attraverso di esso è possibile raggiungere i principali porti del Mare del Nord, il porto di Londra e Dunkerque. La sua larghezza minima è di 33 km e la sua profondità media di 30 metri. Tuttavia la particolarità di questo porto consiste nel fatto che è frequentemente soggetto a mareggiate, forti venti e avvallamenti.

Per quanto concerne invece il Canale di Suez questa è la principale via di transito per il traffico marittimo mondiale, l’8%, poco più dello Stretto di Malacca mentre dal Canale di Panama passa il 5% del commercio mondiale. Se Suez è la porta dell’Asia e del Golfo Persico e il punto di passaggio necessario per il transito di energia dagli Emirati Arabi all’Europa, quello di Malacca invece è lo snodo strategico che permette il passaggio delle petroliere che vanno in Cina e in Giappone. Non solo corre lungo la Malesia, Sumatra e Singapore ma confina con molte isole, che consentono grazie alla loro conformazione geomorfologica il proliferare della pirateria marittima.



A tale proposito dobbiamo sottolineare che garantire la sicurezza delle rotte commerciali è fondamentale e costituisce quindi un problema prioritario per salvaguardare la globalizzazione economica. Sussistono infatti diversi pericoli: quello climatico, come per il Pas-de-Calais e le sue tempeste, o militare, come per lo Stretto di Hormuz e le tensioni con l’Iran, per Panama e la rivalità con gli Stati Uniti, o addirittura criminale – alludiamo alla pirateria marittima – come nel caso dello stretto di Malacca, del Golfo di Aden e dello Stretto di Bab-el-Mandeb. Non è certo casuale che sia la Francia sia la Cina controllino Gibuti. Non dimentichiamoci infatti che il Corno d’Africa è stato oggetto di numerosi attacchi di pirateria tra il 2005 e il 2012, offensive queste che hanno certamente danneggiato il traffico marittimo a livello globale.

Il Capo di Buona Speranza è l’altro importante snodo commerciale a livello globale nel mondo poiché collega l’Oceano Atlantico e l’Oceano Indiano. Anche se l’apertura del Canale di Suez ha reso meno necessario il traffico attraverso Città del Capo, tuttavia rimane una delle maggiori rotte globali.

Per quanto riguarda la rotta artica sia lo scioglimento del ghiaccio che il miglioramento tecnologico dei rompighiaccio potrebbero dimezzare il tempo di viaggio Europa-Asia ora richiesto attraverso Suez o Panama ma soprattutto ridimensionerebbero sia il canale di Panama che il Canale di Suez. Inoltre se la rotta artica venisse effettivamente realizzata questa potrebbe certamente polarizzare il commercio globale non solo attorno a tre grandi poli della globalizzazione, Stati Uniti, Russia ed Europa ma il Golfo di Aden e lo Stretto di Malacca perderebbero la loro importanza.

Non c’è dubbio che anche a causa delle continue tensioni tra Turchia, Grecia, Cipro, Egitto, il Mare Nostrum rappresenterà su medio termine uno dei maggiori crocevia energetici. Gli attori di questo mutamento non saranno solo gli Stati nazionali ma le multinazionali petrolifere e in particolare due e cioè l’Eni e la Total. A tale proposito non dobbiamo mai dimenticare che la presenza di giacimenti di gas rappresentano una questione centrale per decidere le sorti del Mediterraneo, soprattutto se teniamo conto del fatto che proprio attraverso il Mediterraneo passa il gasdotto GreenStream che collega la Libia occidentale con la Sicilia e l’Italia continentale per una lunghezza di 540 km con una capacità di 11 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Naturalmente Green Stream deve essere inserito in un contesto molto più ampio: questo gasdotto infatti fa parte del Trans-Mediterraneo, che parte da Hassi R’Mel in Algeria e che raggiunge l’Italia attraverso la Tunisia. Hassi R’Mel è il più grande giacimento di gas naturale del continente africano e l’hub dei gasdotti del continente. È proprio da questa città che parte Medgaz, che unisce la Spagna all’Algeria. Ed è sempre da lì che deve partire il Trans-Sahariano, un vasto progetto di gasdotto, lungo oltre 4.000 km, che dovrebbe diventare operativo nel 2021 e che dovrebbe consentire il collegamento tra il Golfo di Guinea e l’Europa nonostante vi siano non solo difficoltà di natura tecnologica ma vi sono soprattutto difficoltà legate alla presenza di zone altamente instabili come il Niger e il sud del Sahara algerino.

Un ruolo centrale viene ovviamente rivestito dalla Russia sia attraverso North Stream che Yamal. North Stream collega la Russia alla Germania attraverso il Mar Baltico mentre Yamal collega la penisola di Yamal alla Polonia per oltre 4.000 km. Un altro paese chiave è certamente la Turchia: infatti il gasdotto Trans-anatolico, denominato Tanap, collega Baku all’Europa attraverso la Turchia e dovrebbe fornire 23 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Infine abbiamo il Blue Stream che collega il Caucaso russo con la Turchia.

Proprio per quanto riguarda l’Europa non dobbiamo mai dimenticare che l’approvvigionamento del gas è possibile grazie al ruolo fondamentale svolto da tre nazioni: Russia (oltre il 40%), Norvegia (oltre il 20%), Algeria (oltre il 10%). Questi dati dimostrano chiaramente che l’Europa dipende moltissimo dalla Russia e proprio per questo è nata la necessità di diversificare le fonti di approvvigionamento come per esempio lo shale gas americano, che dovrebbe rifornire il terminal di Swinoujscie in Polonia. Inoltre l’Ue, insieme agli Stati Uniti, sta cercando di bloccare il progetto di estensione del North Stream (North Stream II). Anche il progetto Nabucco che parte dall’Iran, attraverso il Caucaso meridionale e la Turchia per raggiungere poi l’Europa meridionale è nato proprio per evitare che l’Unione Europea dipende esclusivamente dal gas russo.

Ma anche se l’Europa, con l’importante eccezione del Mare del Nord, non è autonoma sotto il profilo dell’approvvigionamento del gas è tuttavia circondata da giacimenti di grande rilevanza come quelli del Mediterraneo, del Maghreb, della Russia, del Mar Caspio, dell’Iran che consentono all’Europa di poter giocare su diverse scacchiere energetiche.

Anche se l’Oceano Pacifico non può certo definirsi il centro della produzione energetica a livello mondiale, tuttavia rappresenta un’area di grande rilevanza per l’Indonesia, la Malesia, il Brunei, la Thailandia, il Vietnam e l’Australia.

Ma proprio in questa area si manifesta la presenza di un convitato di pietra e cioè della Cina che attraverso il controllo degli stretti e attraverso la costruzione di un efficiente marina vuole consolidare la sua proiezione di potenza marittima. Sempre a proposito della Cina, il Mar cinese è certamente un’altra area che dal punto di vista geopolitico ha un grande significato sotto il profilo energetico. Complessivamente se valutiamo l’importanza dello stretto di Gibuti, del Mar cinese e dell’Indo-Pacifico ci rendiamo conto che la Cina conferisce grande importanza alla sicurezza delle rotte di approvvigionamento energetico.

Per quanto riguarda gli Stati Uniti – soprattutto dopo il 2001 – hanno certamente diversificato le proprie fonti di approvvigionamento riducendo per esempio la quota acquistata nel Golfo Persico per incrementare quella acquistata nel Golfo di Guinea.Tuttavia l’aumento del petrolio e del gas di scisto (argille) negli Stati Uniti ha certamente abbassato la quota di idrocarburi acquistati nel Golfo di Guinea. Fatta questa precisazione gli Stati Uniti producono certamente il petrolio e il gas che consumano oppure lo acquistano dal Messico, dal Canada, dal Venezuela e dai Caraibi. Tutto ciò certamente consente agli Usa da un lato una autonomia energetica e dall’altro costituisce certamente uno dei fattori che ha consentito – e consente – agli Stati Uniti di avere una egemonia globale.