Partiamo come di consueto dai fatti di cronaca recente. Qualche giorno fa il presidente del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir), Raffaele Volpi, ha sottolineato da un lato la preoccupazione per la sicurezza nazionale in relazione agli interessi espressi da compagnie cinesi verso l’area strategica di Taranto e cioè per gli impianti industriali Ilva e l’affidamento della gestione del porto della città pugliese; e dall’altro lato ha più volte sottolineato le sue preoccupazioni in relazione all’utilizzo di tecnologia cinese nel campo delle Tlc.
Ora, al di là dell’evidente conflitto di natura politica tra il Copasir e il governo Conte – pienamente al corrente delle stesse informative fornite dal Dis al Copasir sia in relazione all’infrastruttura portuale di Taranto che in relazione al 5G di Huawei –, dal punto di vista strettamente geopolitico la sovranità e l’indipendenza energetica sono fattori fondamentali per un paese almeno tanto quanto lo sviluppo di infrastrutture portuali e zone franche per un’adeguata proiezione economica.
Infatti i porti – come le basi militari – hanno da sempre costituito uno strumento di proiezione di potenza delle nazioni (pensiamo al ruolo determinate che giocarono Genova e Venezia). Nell’ottobre dello scorso anno il presidente dell’Autorità portuale di Taranto Sergio Prete aveva affermato che la gestione del terminal container di trasbordo del porto di Taranto sarebbe stata affidata sia alla multinazionale turca Yilport sia al gruppo cinese China Cosco Shipping, joint venture che costituisce la conseguenza dell’incontro tra Robert Yuksel Yildirim, presidente e amministratore delegato di Yilport, e il chairman del gruppo cinese Xu Lirong avvenuto a Shanghai.
Il porto di Taranto quindi potrebbe costituire una infrastruttura nevralgica per il commercio internazionale e consentirebbe, soprattutto alla Cina, di porre in essere un altro importante tassello nel suo progetto di proiezione di potenza globale a livello economico.
D’altronde proprio Conte aveva dichiarato che la Nuova Via della Seta poteva essere una buona opportunità per l’Italia per attrarre investimenti cinesi nei porti di Genova e Taranto. A tale proposito, la costruzione dei porti e il loro miglioramento potrebbe infatti diventare uno dei punti focali della cooperazione tra Italia e Cina nell’ambito della Belt and Road Initiative, che, in una certa misura, ha a che fare con il rapido sviluppo del porto del Pireo in Grecia. Infatti, grazie alla collaborazione con la società cinese Cosco nel corso degli anni, il Pireo ha visto un rilevante incremento del volume di traffico per container del mondo, diventando uno dei terminal container in più rapida crescita. Il progetto portuale del Pireo è stato anche riconosciuto come un modello di cooperazione sino-greca, che non solo ha favorito la ripresa economica in Grecia, ma è anche diventata una parte importante della struttura portuale globale della multinazionale cinese Cosco.
Questa cooperazione potrebbe servire all’Italia come stimolo per incrementare gli investimenti dall’estero e per rendere le proprie infrastrutture portuali sempre più strategiche per il commercio globale. Infatti, da un punto di vista geopolitico, il nostro paese in virtù della sua posizione geografica potrebbe diventare centrale per il commercio delle merci cinesi verso l’Europa una volta che hanno attraversato l’Oceano Indiano e il Canale di Suez. Inoltre, il fatto che il nostro paese, attraverso il Mise, abbia promosso la Task Force China potrebbe consentire alle nostre imprese di incrementare il loro business.
Il nostro paese deve dunque tutelare in primo luogo la propria sovranità economica – se ancora esiste – coniugandola con la salvaguardia della propria sicurezza. Ma un conto è la sicurezza e un altro conto è la subalternità-sudditanza nei confronti dell’alleato americano che ha d’altronde – a differenza della Francia – sempre caratterizzato il nostro paese per oltre quarant’anni. A tale proposito una delle ragioni delle preoccupazioni del Dis – o dell’alleato americano? – è relativa al fatto che nei porti tarantini di Mar Piccolo e Mar Grande la Nato ha infrastrutture militari strategiche come la base navale, Standing Nato Maritime Group Two (Snmg2), che certamente fa di Taranto un hub strategico per il fianco Sud dell’alleanza.
Proprio nella direzione del nostro interesse nazionale va inquadrato il memorandum firmato a Roma tra Snam e PipeChina, accordo firmato dall’amministratore delegato di Snam Marco Alverà e dal Chairman di PipeChina Zhang Wei, nel contesto dell’incontro tenutosi a Roma tra i ministri degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, e cinese, Wang Yi.
Questo accordo prevede la possibilità sia di condurre sperimentazioni nel settore dell’idrogeno in Cina – dove l’azienda italiana è attiva da due anni – sia di realizzare infrastrutture per il gas naturale.