Da due anni il suo prezzo continua a salire. L’oro, anche per molti Paesi emergenti, è diventato un bene rifugio, sul quale puntare per tentare di svincolarsi dal dominio del dollaro. E così, spiega Marco Di Liddo, direttore del CeSI (Centro studi internazionali), Russia, Cina, ma anche India, che secondo Forbes ne ha fatte rientrare 100 tonnellate che erano nel Regno Unito, si sono lanciate alla conquista del metallo prezioso.



A Mosca e Pechino serve come garanzia per far fronte a eventuali choc finanziari, ai BRICS, più in generale, per dare basi più solide al progetto di una moneta alternativa al dollaro. La corsa all’oro però alimenta anche un mercato illegale, soprattutto in quei Paesi africani che sono in guerra o hanno regimi retti da autarchie, in cui società spregiudicate fanno profitti ripulendo l’oro che non potrebbe essere commercializzato alla luce del sole.



Chi partecipa soprattutto alla nuova caccia all’oro? Russia e Cina se lo accaparrano anche in funzione anti-dollaro?

Non è solo un’operazione di dedollarizzazione. È un classico bene rifugio che può servire per ovviare alle sanzioni o per agire quando c’è penuria di moneta pregiata. La moneta russa, così come quella cinese, non è ancora così ricercata.

L’oro serve anche per i pagamenti?

Certo, ma principalmente chi ricorre a questa soluzione vuole aumentare le riserve come salvaguardia: la Russia tradizionalmente è esposta a crisi finanziarie che la penalizzano. Per farvi fronte di solito usava il suo fondo sovrano, ma ora non basta. Parte degli asset non sono fisicamente in Russia, ma in istituti di credito occidentali e sono stati congelati. Per questo accumulano riserve auree. I cinesi usano l’oro per aumentare la resilienza agli shock di mercato: lo fanno anche con minerali, materie prime critiche e grano.



Dove viene comprato l’oro e come funziona il mercato?

Ci sono tre metodologie di acquisizione: una è l’estrazione domestica, che uno Stato può realizzare sul suo territorio, ed è il sistema più facile da controllare. Poi si può acquistare sul mercato internazionale: una superpotenza dell’oro è il Sudafrica e ne produce tantissimo, come molti Paesi africani. La vendita funziona come il petrolio: c’è un indice globale, domanda e offerta si orientano intorno a quel prezzo. Il terzo mercato è quello un po’ più illegale e riguarda Paesi in guerra o retti da autocrazie sanzionate a livello internazionale, come Sudan, Mali, Burkina Faso. Il loro status può costituire una barriera alla commercializzazione, come anche l’utilizzo di forza lavoro minorile oppure il fatto che l’oro venga usato per finanziare un conflitto. È un po’ il principio dei diamanti di sangue. Succede allora che intervengono dinamiche di pulizia dell’oro, per poterlo immettere sul mercato.

Attraverso quali meccanismi viene ripulito?

Intervengono società straniere, per i russi di solito rette da oligarchi, che ottengono la licenza per una miniera, estraggono l’oro e quando devono commercializzarlo utilizzano la mafia russa per smistarlo nel mercato nero. Oppure tramite sofisticate manovre lo vendono ai Paesi arabi, in particolare agli Emirati Arabi Uniti, che fanno risultare l’oro estratto in un altro Paese. In Congo le milizie portano le materie prime nel Paese più vicino, Uganda e Rwanda, dove ci sono funzionari che certificano che l’oro è stato estratto in una miniera fuori dai confini congolesi. Il Rwanda è stato più volte condannato per questo. Il sistema di russi ed emiratini, invece, non è mai stato sanzionato: bloccare queste pratiche è più difficile.

Tra l’altro l’oro non serve solo per le riserve: dove viene utilizzato?

Succede come per i diamanti: noi li pensiamo come orpelli femminili, ma sono fondamentali nell’industria militare, in quella della comunicazione e medica. Anche l’oro è importantissimo nell’industria dell’altissima tecnologia.

Ci sono anche Paesi emergenti che aumentano le riserve in oro?

L’India, per esempio. Ci sono economie in espansione, ma ancora fragili, per le quali l’oro diventa un’ancora di salvezza, da utilizzare in caso di problemi. Un principio che vale per tutti i Paesi, a maggior ragione per quelli che sono meno solidi.

L’oro viene utilizzato anche per cercare un’alternativa al dominio del dollaro?

Il dollaro è la moneta pregiata per eccellenza, che tutti accettano. Per emanciparsi da questa dipendenza occorre trovare un bene che sia altrettanto scambiabile, anche per dare basi un po’ più solide alle singole economie.

L’accumulo è anche uno strumento per dare solidità a una eventuale nuova moneta BRICS che sostituisca, appunto, la moneta americana?

Sì, ma è un progetto in divenire. Nei BRICS non c’è un polo dominante, un Paese che traina. È un’organizzazione tra pari con linee di politica estera a volte in conflitto. I Paesi aderenti sono legati dalla volontà di cambiare le regole dell’ordine globale, ma ognuno di loro la pensa in maniera diversa: l’India, ad esempio, vorrebbe parlare con tutti, la Russia è ai minimi storici con l’Occidente, mentre la Cina vorrebbe un rapporto equilibrato con USA e UE.

(Paolo Rossetti)

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