Il livello di dipendenza dei paesi asiatici dalla Russia e dalla Cina è tale che a luglio hanno chiesto a Mosca di venire in loro aiuto per fronteggiare la minaccia di una seconda ondata di Covid-19, sebbene la stessa Russia sia stata duramente colpita dalla pandemia con oltre 1,7 milioni di casi e abbia appena superato la soglia dei 30mila morti. Inoltre, appena due settimane fa, i ministri degli Esteri russo e dell’Asia centrale hanno ribadito la loro disponibilità a cooperare per combattere la pandemia.



La Cina, da parte sua, forte della sua esperienza nella lotta al virus, si è precipitata ad aiutare i paesi dell’Asia centrale, inviando tonnellate di forniture mediche. Inoltre, l’Aiib, una banca creata dalla Cina e di cui è la maggiore azionista, presterà anche 660 milioni di euro al Kazakistan per far fronte alla pandemia. Infine, l’amministrazione Trump afferma di aver offerto 4,3 milioni di dollari ai paesi dell’Asia centrale e 274 milioni di dollari in tutto il mondo per lo stesso scopo. Prosegue, insomma, incessante la competizione per determinare i futuri equilibri dell’Asia centrale.



Non è un caso che gli Stati Uniti abbiano pubblicato lo scorso febbraio la loro strategia per l’Asia centrale 2019-2025, una pubblicazione che è stata accompagnata da un tour di Mike Pompeo in Uzbekistan e Kazakistan, i cui interventi sulla situazione degli uiguri rinchiusi nei campi di “rieducazione” hanno ulteriormente contribuito ad aumentare le tensioni con la Cina. L’obiettivo? Contrastare l’influenza cinese e russa in Asia centrale. Come? Gli Stati Uniti stanno investendo cifre colossali, oltre 91 miliardi di dollari di investimenti, in Asia centrale, una regione in cui la Cina gioca un ruolo economico importante e dove sta diventando anche un attore militare sempre più rilevante.



Tuttavia gli sviluppi politici nei paesi dell’Asia centrale, in particolare in Uzbekistan con l’avvio delle riforme interne e in Kazakistan, che sta rinnovando la sua élite politica, potrebbero anche segnarne l’apertura in materia di politica estera, e quindi spingere i paesi dell’Asia centrale a diversificare le loro relazioni strategiche, portando così gli Stati Uniti nello scacchiere delle potenze regionali.

Nonostante l’incostanza e i passi falsi passati e presenti dell’amministrazione di Donald Trump, gli Stati Uniti intendono rafforzare pienamente i loro partenariati per la sicurezza con i paesi dell’Asia centrale. Infatti lo scorso maggio si è tenuto un incontro trilaterale tra Stati Uniti, Afghanistan e Uzbekistan per rafforzare la reciproca cooperazione anche in campo economico, della sicurezza e nella lotta contro il Covid-19, un incontro avvenuto esattamente dieci giorni dopo l’accordo politico siglato tra il presidente afghano Ashraf Ghani e il nuovo capo dell’Alto Consiglio per la riconciliazione nazionale, il dottor Abdullah. Gli Stati Uniti vogliono estendere questo tipo di incontri trilaterali anche con altri paesi dell’Asia centrale interessati alla stabilità regionale.
Cina e Russia hanno reagito prontamente all’intensificarsi dell’attività diplomatica da parte degli Stati Uniti, imitandoli e realizzando entrambe i loro format C5+1 con i paesi dell’Asia Centrale, lo scorso luglio per la Cina e a novembre per la Russia.

Questi due paesi, che sono più abituati a forme di cooperazione estesa con paesi dell’Asia centrale, vedono in un formato limitato la possibilità di trattare più da vicino ed efficacemente con i paesi dell’Asia centrale. All’interno di questo nuovo formato, la Cina desidera ancora essere vista come un attore quasi esclusivamente economico nella regione, in vista del perseguimento della Nuova Via della Seta, anche se la presenza militare cinese è in crescita continua nella regione.

A tal proposito negli ultimi anni la Cina ha posto in essere anche una base militare in Tagikistan, nonostante Pechino si rifiuti di riconoscerla. Inoltre, il Dragone rappresenta il 18% delle vendite di armi in Asia centrale negli ultimi cinque anni, mentre rappresentava solo l’1,5% tra il 2010 e il 2014. E sempre dal 2014 la Cina ha intensificato anche le esercitazioni militari.

L’obiettivo di questo interesse cinese nella regione è assicurarsi gli approvvigionamenti energetici dall’Asia centrale, combattere il terrorismo, che per Pechino è principalmente il terrorismo degli uiguri, e soprattutto garantire la sicurezza della Via della Seta. La Cina, in particolare, utilizza un numero crescente di società di sicurezza private per proteggere le proprie aziende in Asia centrale, che nella sicurezza hanno speso 8 miliardi di dollari nel 2014.

Di fronte agli sviluppi americani e cinesi, i russi reagiscono continuando a estendere la loro superiorità militare nella regione. In effetti, la Russia vanta la sua più grande base militare straniera in Tagikistan con 7mila uomini e una base aerea in Kirghizistan, ampliata proprio quest’anno.

Inoltre la Russia resta in gran parte il primo fornitore di armi di questi due paesi. Al Kazakistan, primo acquirente di armi russe in Asia centrale dal 1991, i russi hanno infatti venduto armi per un valore di 3 miliardi di dollari. E dal 2010 il 75% delle esportazioni di armi russe è finito ai paesi dell’Asia centrale.

La Russia mantiene anche un alto livello di esercitazioni militari con i paesi della regione: da cinque a dieci esercitazioni ogni anno dal 2012. Proprio il Kazakistan concentra un terzo di tutti gli ufficiali stranieri formati nelle accademie militari russe, il che significa che più della metà dell’esercito di questo paese è addestrato da Mosca.

La crisi del Covid-19 costituisce un’occasione per consentire alla Russia e alla Cina di consolidare e ampliare la loro influenza e per gli Stati Uniti un’opportunità per entrare nel gioco dei poteri regionali, provando così a realizzare un riorientamento strategico verso l’Asia.

La Cina ritiene che gli Stati Uniti rimangano una forza importante in Asia centrale e in questo contesto i paesi dell’area stanno cercando di superare il livello di dipendenza economica e di sicurezza esercitato, de facto, da Russia e Cina.

È il caso dell’Uzbekistan e del Kazakistan. Dallo scorso aprile, infatti, l’Uzbekistan ha unito i suoi vicini dell’Asia centrale nella lotta contro il Covid-19, inviando aiuti in Kirghizistan e Afghanistan. Inoltre, le diplomazie uzbeka e kazaka sono fortemente coinvolte nella ricerca di una soluzione politica stabile che emerga dal caos politico in Kirghizistan. Infine, il Kazakistan, forte della sua appartenenza a una serie di organizzazioni regionali euro-asiatiche, si è anche attivato per trovare uno sbocco diplomatico in Nagorno-Karabakh e una soluzione alla guerra civile in Siria.

Ma dobbiamo anche considerare l’interesse strategico dei nuovi attori in Asia centrale, come ad esempio la Turchia. La proiezione di potenza di questo paese si estende all’Asia centrale, anche perché, eccetto il Tagikistan, tutti i paesi della regione sono di lingua turca, dunque Ankara non ha difficoltà a dialogare con loro, anche se la sua influenza, economica e nel campo della sicurezza, è al momento ancora limitata.

Va altresì tenuto presente che la questione degli uiguri rischia di diventare una fonte di conflitto tra la Turchia e i paesi dell’Asia centrale, da un lato, e la Cina, dall’altro, anche se per il momento a prevalere sono gli interessi economici.

La stessa India è un soggetto geopolitico interessato a estendere la sua influenza nell’Asia centrale e non a caso negli ultimi anni ha firmato accordi di cooperazione e sicurezza con Kirghizistan, Uzbekistan e Kazakistan. L’India è desiderosa di rafforzare la sua cooperazione in materia di difesa e sicurezza con il Kazakistan.

Quanto al nuovo presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, indubbiamente non farà una svolta di 180 gradi nella politica estera americana. Lo stallo con la Cina, infatti, molto probabilmente continuerà, con un linguaggio più diplomatico, e la nuova strategia per l’Asia centrale degli Stati Uniti 2019-2025 continuerà a svilupparsi consentendo agli Stati Uniti di recuperare su Russia e Cina per diventare ancora una volta un attore influente nella regione, incarnando così una sorta di terza via per i paesi dell’Asia centrale.