Lo sconvolgimento del sistema competitivo delle economie occidentali non è un fenomeno passeggero. Un numero crescente di potenze (Cina, India, Brasile, Turchia, Iran, Russia) condiziona i rapidi mutamenti della concorrenza internazionale. La conquista dei mercati esteri prevale, il più delle volte, su una migliore strutturazione dei mercati nazionali. Ciò prova come una strategia di potenza influenzi in maniera decisiva il contesto della competizione economica. I nuovi partecipanti alla competizione internazionale hanno una diversa visione della dialettica tra potenza e mercato, e il mercato è visto come lo strumento principale per accrescere la potenza. Una visione che ha recuperato i principi di base dell’economia politica, secondo la quale il mercato è il solo mezzo per raggiungere la potenza e non l’inverso, e che ha rivelato, in numerosi casi (pensiamo all’utilizzo dell’energia e come arma di contrattazione e ricatto da parte della Russia di Putin, nel 2009), le carenze degli schemi di interpretazione degli economisti liberali, la cui analisi si concentrava sugli effetti della deregolamentazione, sulle fusioni o le speculazioni finanziarie intorno al calcolo dei prezzi del gas, ma non al possibile utilizzo del commercio del gas come arma di potenza.
Il processo di globalizzazione è irreversibile e abbastanza indipendente da quello che fanno i governi. Ma una cosa è la globalizzazione, un’altra l’ideologia del mercato libero globale che, se da un lato produce un più alto tasso di crescita di ogni altro sistema, dall’altro non ha riguardi ai modi in cui è distribuita. Del resto, l’argomento che la massima crescita capitalistica distribuisca le risorse in maniera ottimale non è mai stato convincente. Persino Adam Smith credeva che c’era qualcosa che il mercato non poteva o non doveva fare.
Nella storia, l’evoluzione bilanciata dell’industria mondiale è stata prodotta non dal liberalismo, ma dal suo contrario. Stati Uniti e Germania, nel XIX secolo, divennero paesi industrializzati perché protessero le loro industrie finché non furono in grado di competere con l’economia dominante, che era quella britannica. Oggi le teorie economiche neoclassiche sono in discredito, perché il sistema si è rotto a causa dello scarso controllo delle procedure degli investimenti e del flusso finanziario internazionale.
Oggi assistiamo più che mai al contrasto tra le forze del capitalismo, che tendono a rimuovere ogni ostacolo, e le forze politiche che operano attraverso gli Stati nazionali e che sono costrette a regolare queste procedure. Le leggi dello sviluppo capitalistico sono semplici: massimizzare l’espansione, il profitto, l’incremento di capitale. Ma le priorità dei governi sono, per loro natura, differenti e, quindi, conflittuali. Inoltre la dinamica dell’economia globale è tale da non garantire la stabilità dei suoi protagonisti.
Il sistema degli Stati e quello dell’economia, che oggi coesistono e devono adattarsi, sono in costante tensione, ma se non esistesse una relativa stabilità degli Stati, si accrescerebbe l’instabilità di un mondo organizzato secondo le linee dell’economia transnazionale. Il problema non è se i governi possono controllare le corporations internazionali all’interno dei loro confini. Il problema vero è il controllo globale: quando le imprese e i governi entrano in conflitto, questi ultimi devono negoziare come se avessero a che fare con degli Stati.
Ma la globalizzazione, così come le religioni e le culture, è solo una risposta semplificata ai conflitti di oggi e alle sfide alla sicurezza. La globalizzazione ha sicuramente ridotto, dalla fine del XX secolo, l’importanza della forza militare, mentre la sicurezza, specie quella interna, è diventata un bene pubblico globale. Nell’era dell’informazione, dell’interdipendenza e dei “beni pensanti su quelli pesanti”, la forza militare rende meno e costa di più. La competizione economica, tecnologica e soprattutto comunicativa è più importante e condizionante della forza militare.
La stessa globalizzazione dell’informazione ha contribuito a cambiare il carattere della guerra, rendendo decisivo il ruolo dell’opinione pubblica. Nel breve termine, la geoinformazione è divenuta più importante della geoeconomia: gli effetti sono immediati e non sempre controllabili. Anche questo è un fenomeno del dopo Guerra fredda.
In questo contesto, l’economia non è più uno strumento della sicurezza, come avveniva nella Guerra fredda, ma, al contrario, quest’ultima si è messa al servizio dell’economia per creare le condizioni migliori per l’espansione e la protezione della globalizzazione. La natura della sicurezza dipende dalla situazione di ciascun Paese e cambia da regione a regione in funzione del livello di globalizzazione delle diverse aree.
Di conseguenza, è lo stesso processo di globalizzazione a rendere necessaria l’economia politica e rilanciare nuovamente un dibattito che sembrava superato, secondo il quale il mercato è il mezzo per raggiungere la potenza e non il contrario, e diviene strumento delle politiche di potenza nella globalizzazione degli scambi. L’accrescimento di potenza attraverso l’espansione economica è il motore dei nuovi Stati emergenti.
Eppure l’attuale contesto economico deve fare i conti con le nuove strategie offensive che minano la base industriale dell’economia di mercato mettendo in luce le politiche predatorie di quella che può definirsi una vera guerra economica.
È in questo contesto che si può affermare che tutte le imprese, indipendentemente dalla loro dimensione, subiscono i danni derivati dalla mancanza di una cultura della sicurezza economica alla quale solo l’utilizzo dell’intelligence, come strumento di analisi della concorrenza predatoria, può sopperire.
Interpretare la nozione di sicurezza nazionale ricomprendendovi anche la tutela degli interessi nazionali comporta che i servizi di informazione e sicurezza possono essere chiamati a operare per proteggere le grandi imprese, o comunque le imprese di rilevanza strategica, quelle che i francesi chiamano “imprese di rilevanza nazionale” o “campioni nazionali”. Queste imprese spesso, ma non sempre, sono già dotate di proprie organizzazioni informative o di sicurezza per sopravvivere a una competizione fattasi più impegnativa.
Tuttavia, quello dell’intelligence economica è un campo in cui le regole tra i servizi dei vari Paesi sono più elastiche ed è difficile parlare sia di nemici che di amici, ma piuttosto di competitori e concorrenti. Un campo ancora in divenire e, per quanto riguarda lo sviluppo di una intelligence economica europea, siamo ancora in una fase embrionale.
(2 – continua)
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