Partiamo dai fatti più recenti. Proprio su queste pagine avevamo già affrontato le controversie tra India e Cina in relazione al fiume Mekong.

Ora una nuova controversia tra India e Cina riguarda il fiume Brahmaputra. Sulla parte tibetana del fiume Brahmaputra – che scorre dalla regione del Tibet verso l’Arunachal Pradesh, attraversa l’Assam e arriva fino al Bangladesh dove sfocia in mare – la Cina intende costruire una diga. Il responsabile dell’azienda statale – nello specifico la Power Construction Corporation of China – che intende costruire questa diga e cioè Yan Zhiyong ha affermato che le particolari caratteristiche morfologiche del fiume consentirebbero di ottenere dall’impianto un potenziale idroelettrico fra i più alti a livello globale: 70 milioni di kilowatt. Tuttavia, secondo il ministero indiano per le risorse idriche, questa faraonica costruzione rischierebbe di mettere a rischio la sicurezza idrica dell’India e del Bangladesh perché potrebbe determinare alluvioni o comunque carenze d’acqua sul territorio sia dell’India che del Bangladesh.



Proprio l’Arunachal Pradesh – che si estende per 83.000 kmq – è oggetto di forti contrasti tra i cinesi e gli indiani, dal momento che la Cina considera questa regione come parte integrante del proprio territorio – non a caso la definisce il Tibet meridionale – mentre l’India che gestisce sotto il profilo politico ed amministrativo l’area la riconosce come propria parte integrante fin dal 1986.



Tuttavia le origini dei contrasti tra Cina e India hanno motivazioni di carattere geopolitico a livello globale.

L’evidente espansionismo di Pechino in Asia meridionale e nel Mar Cinese Meridionale continua a minacciare la sicurezza marittima dell’India. L’ascesa della Cina come potenza militare ed economica globale asiatica ha anche sconvolto la sicurezza intrinseca e il multilateralismo della regione indo-pacifica.

La cosiddetta “ascesa pacifica” della Cina risulta evidente dai crescenti progetti territoriali di Pechino nell’Asia meridionale e nel Mar Cinese, come dimostrano gli avamposti militarizzati della Cina in questo mare. Questi progetti sono stati anche resi operativi attraverso misure economiche nell’ambito della Belt and Road Initiative di cui la Via della Seta costituisce una sfida alla sicurezza marittima indiana.



Proprio per questo l’India, pur cooperando con la Cina, non intende consentire al gigante asiatico di conseguire un’egemonia completa dell’Indo–Pacifico. Proprio per questo l’India sottolinea la rilevanza della sua collocazione geopolitica.

In primo luogo, lo Stretto di Malacca dà a Nuova Delhi un vantaggio sulle linee di approvvigionamento energetico della Cina e sul commercio nell’Oceano Pacifico occidentale. Questo vantaggio è favorito dallo sviluppo delle infrastrutture, la più significativa delle quali è stata l’istituzione del primo comando integrato dell’India sulle isole Andamane e Nicobare.

In secondo luogo le capacità di sorveglianza del Comando Andamane e Nicoba non solo migliora lo stato di sicurezza dell’India, ma segnala anche il suo contributo nel preservare la sicurezza regionale collettiva nell’Indo-Pacifico anche attraverso il dialogo sulla sicurezza del quadrilatero India-Australia-Giappone-Usa o Quad (Quadrilateral Security Dialogue).

In terzo luogo l’India, basandosi sui legami storici con il sud–est asiatico, considera l’Asean centrale per l’impronta dell’India nell’Asia orientale promuovendo lo sviluppo di una connettività transregionale che attraversa il Mare delle Andamane nell’Oceano Indiano per giungere allo stretto di Malacca fino al sudest asiatico.

In quarto luogo l’influenza economica della Cina nel sudest asiatico, insieme alle sue grandi capacità militari, rappresenta una minaccia per la posizione degli Stati Uniti come influente potenza extra-regionale. Il partenariato economico regionale globale (Rcep) recentemente ratificato viene infatti letto dall’India come uno strumento di contenimento degli Usa. Proprio per questo gli obiettivi marittimi dell’India continuano a convergere con quelli degli Stati Uniti e dei suoi alleati regionali (Giappone, Australia e Repubblica di Corea). In effetti, alcuni analisti suggeriscono che l’idea di un comando militare sulle isole Andamane e Nicobare sia stata in realtà discussa per la prima volta dal presidente Bill Clinton e dal premier P.V. Narashima Rao come deterrente contro la Cina già nel 1995.

Ad ogni modo la decisione di tenere la seconda fase dell’esercitazione Malabar del 2020 nel Mar Arabico è una mossa positiva per l’India, come l’accordo di difesa Maldive-Usa recentemente firmato.

In quinto luogo, la posizione geografica dell’India le conferisce una serie di vantaggi strategici. La penisola indiana, insieme alle isole Lakshadweep e al mare di Laccadive, offre a Nuova Delhi un vantaggio unico nella protezione e nella supervisione di gran parte del commercio mondiale di merci dall’Oceano Atlantico e delle forniture energetiche dall’Asia occidentale all’Oceano Pacifico. Lo sviluppo delle infrastrutture in questo contesto fungerà da trampolino di lancio per l’ulteriore rafforzamento della sicurezza regionale collettiva.

Tuttavia, la crescente presenza militare ed economica della Cina nel Mar Arabico, attraverso il “filo di perle” e la “Via della Seta marittima”, rimane una minaccia per l’India. Il porto di Chabahar nella provincia del Baluchistan-Sistan in Iran costituisce infatti uno snodo strategico fondamentale per l’India. Esso è considerato uno dei porti più importanti dell’Iran meridionale e l’India intende servirsene per collegarsi con l’International North-South Transport Corridor (Instc), una rete multimodale di rotte marittime e ferroviarie, che collegherà l’Oceano Indiano e il Golfo Persico attraverso l’Iran alla Russia e al Nord Europa in funzione anti-cinese (il che dimostra come ancora una volta quanto siano strategiche le infrastrutture portuali).

Inoltre la recente esclusione dell’India dal progetto ferroviario di Zahedan e il successivo accordo di una partnership strategica da 400 miliardi di dollari tra Cina e Iran dimostra la volontà egemonica cinese. A tale proposito credo sia utile sottolineare l’importanza di questa controversia.

All’inizio di luglio del 2020 il ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif intende porre in essere un accordo di partenariato strategico a lungo termine con Pechino. Poche settimane dopo, i media indiani hanno riferito che Teheran ha “abbandonato Nuova Delhi”.

Infatti la notizia della nuova alleanza strategica dell’Iran con la Cina va inquadrata nel contesto delle crescenti tensioni tra Stati Uniti e Cina e della disputa sul confine himalayano tra Cina e India. Sembra infatti che la politica di “massima pressione” dell’amministrazione Trump contro l’Iran abbia spinto il paese tra le braccia della Cina e abbia causato un significativo svantaggio strategico al suo alleato a lungo termine, l’India.

Secondo un rapporto dell’11 luglio del New York Times, l’accordo concluso tra Pechino e Teheran vedrà la Cina investire un totale di 400 miliardi di dollari nei settori bancario, dei trasporti e dello sviluppo in Iran. In cambio, Pechino si aspetta di ricevere una fornitura regolare e fortemente scontata di petrolio iraniano nei prossimi 25 anni. L’accordo fa parte dell’ambiziosa iniziativa Belt and Road Initiative (Bri) del presidente cinese Xi Jinping che mira ad estendere l’influenza economica e strategica del suo paese in tutta l’Eurasia.

Solo pochi giorni dopo che i dettagli dell’accordo proposto Cina–Iran sono stati resi pubblici, il 14 luglio, il quotidiano indiano The Hindu ha riferito che l’Iran ha deciso di escludere l’India da un vasto progetto ferroviario che collegherà la città portuale iraniana di Chabahar a Zahedan, una città vicino al confine con l’Afghanistan. La società di consulenza indiana Ircon si era impegnata a fornire tutti i servizi e i finanziamenti per il progetto, stimati in circa 1,6 miliardi di dollari, secondo il rapporto The Hindu.

Il governo iraniano ha prontamente smentito il rapporto del quotidiano indiano, sostenendo di non aver escluso New Delhi dal progetto, in quanto “non aveva firmato alcun accordo con l’India per quanto riguarda la ferrovia Zahedan-Chabahar”.

Nonostante il diniego di Teheran, tuttavia, molti hanno letto ciò come una grave battuta d’arresto dei piani indiani per creare una rotta commerciale alternativa per l’Afghanistan e l’Asia centrale che aggira il porto di Gwadar gestito dai cinesi in Pakistan.

Proprio per questo il porto di Chabahar è fondamentale – come indicato sopra – per l’International North–South Transport Corridor (Instc), una rotta merci di 7.200 chilometri (4.473 miglia). Per anni, l’India ha promosso con entusiasmo il progetto, che mira ad aumentare la connettività in Eurasia, in parte perché credeva che potesse aiutare a mantenere l’Iran fuori dalla Bri cinese e raffreddare qualsiasi tentativo di cooperazione tra Teheran e il suo principale rivale regionale, Islamabad.

Negli ultimi 20 anni, l’Iran ha sostenuto i piani dell’India di stabilire nuove rotte commerciali e ha firmato diversi accordi per portare avanti queste iniziative. L’anno scorso, tuttavia, quando Nuova Delhi ha smesso di acquistare petrolio dall’Iran per compiacere Washington e ha ulteriormente rafforzato i suoi legami strategico-militari con Israele, l’atteggiamento di Teheran nei confronti del progetto di connettività regionale di Nuova Delhi ha iniziato a cambiare. La notizia dell’interesse di Nuova Delhi a partecipare al “Trans-Arabian Corridor” (Tap) guidato da Israele, che mira a collegare l’India all’Eurasia attraverso Israele e diversi stati arabi ostili all’Iran, ha ulteriormente incoraggiato Teheran a cercare altre alleanze regionali.

Il nuovo accordo di partenariato dell’Iran con la Cina è indicativo del suo allontanamento dall’India.

Il nuovo accordo tra Pechino e Teheran include piani cinesi per sviluppare diversi porti in Iran, come il porto di Bandar-e-Jask che è strategicamente situato ad est dello Stretto di Hormutz. Ciò è significativo in quanto conferisce a Pechino il controllo su uno degli snodi chiave del commercio mondiale. Ciò può potenzialmente minare il dominio navale degli Stati Uniti in Medio Oriente, poiché avere un punto d’appoggio a Bandar-e-Jask non solo consentirebbe alla Cina di monitorare la Quinta Flotta della Marina degli Stati Uniti con sede in Bahrain, ma insieme a una presenza nei porti di Gwadar e Gibuti aumenterebbe anche la presenza cinese nella regione dell’Oceano Indiano.

L’inclusione dell’Iran nel quadro Bri rischia anche di far perdere terreno all’India contro la Cina in Afghanistan. Dopo l’11 settembre, l’influenza politica ed economica indiana è cresciuta in Afghanistan sotto l’ombrello della sicurezza statunitense. Dall’accordo di febbraio tra Stati Uniti e talebani a Doha, tuttavia, l’influenza dell’India sul paese si è ridotta. L’India non faceva parte dell’accordo tra Stati Uniti e talebani, né ha alcun ruolo significativo nel processo di pace intra–afghano. Dopo il ritiro degli Stati Uniti, l’influenza dell’India sul paese si ridurrà ulteriormente.

Ciò offre alla Cina un vantaggio per collegare potenzialmente l’Afghanistan post-statunitense nel quadro Bri. È probabile che i crescenti legami della Cina con l’Iran, un paese che ha un peso significativo e legami con l’Afghanistan, l’aiuteranno a raggiungere questo obiettivo.

Questo nuovo riallineamento in Asia offre nuove opportunità non solo per la Cina, ma anche per il Pakistan. In primo luogo, il coinvolgimento della Cina in Iran indebolirebbe il principale rivale del Pakistan, l’India, e aprirebbe uno spazio strategico per Islamabad per affrontare in modo efficiente le minacce politiche e alla sicurezza che sta attualmente affrontando. In secondo luogo, dopo aver integrato completamente l’Iran nel quadro Bri, Pechino potrebbe aiutare Islamabad a migliorare le sue relazioni con Teheran e assistere i due paesi nel pacificare la rivolta armata etno-separatista in Baluchistan. In terzo luogo, l’espulsione dell’India dall’Iran significherebbe che il commercio di transito dall’Afghanistan e dall’Asia centrale continuerebbe attraverso i porti pakistani.