Cento anni fa nasceva il Partito comunista cinese. Il 1° ottobre del 1949, Mao proclamò la nascita della Repubblica Popolare Cinese. L’11 dicembre del 2001, Pechino entrava dalla porta principale nel Wto, in quella Organizzazione mondiale del commercio non solo simbolo, ma espressione del capitalismo alla sua massima potenza.
Un miliardo e trecento milioni di persone in poco più di cento anni è riuscito nell’impresa immane di diventare indipendente, uscire dalla povertà drammatica, trasformare un paese contadino arretrato in una delle nazioni all’avanguardia della tecnologia, riuscendo in cinquant’anni a compiere un percorso che ha richiesto all’Europa più di duecento anni.
Poco importa ai leader del Partito comunista che sia falsa la mitologia della guerra contro i giapponesi, e che a versare il sangue contro gli invasori fossero i nazionalisti del Kuomintang. Che la politica del “Grande balzo in avanti” nel 1958, voluta da Mao, comportasse una carestia che costò tra i trenta ed i quaranta milioni di morti. O che la Rivoluzione culturale del 1966 causasse, oltre all’eliminazione di un’intera classe dirigente e la distruzione della memoria, qualcosa come tra i dieci ed i venti milioni di morti.
Ma la storia non si fa con i giudizi morali. Per chi non crede nelle filosofie della storia, il significato profondo di quell’evento epocale può essere ritrovato nelle parole, all’ennesima potenza, che un grande pensatore del Novecento come Carl Schmitt disse a proposito della rivoluzione russa. In un dialogo con Ernst Jünger – Il nodo di Gordio – definì il marxismo come “uno strumento pratico per superare una situazione di impotenza tecnico-industriale”, eliminando la vecchia élite incapace di trasformare un impero agricolo industrialmente arretrato. Attraverso il marxismo-leninismo in versione confuciana, la Cina si è impadronita della moderna tecnica, ha ripreso in mano il proprio destino, cessando di essere preda degli appetiti delle altre potenze straniere.
Agli inizi dell’epoca moderna, con la dinastia Ming, la Cina era una civiltà che sembrava destinata ad un futuro straordinario. Il grande ammiraglio Zheng He tra il 1405 e il 1433 compì ben sette spedizioni navali, mettendo in mare una delle più grande flotte mai viste alla scoperta del mondo. L’Impero di Mezzo sembrava come la Spagna, il Portogallo, i Paesi Bassi e poi la Francia e l’Inghilterra lanciata sugli Oceani. Nei lunghi e lenti viaggi – la velocità era di pochi nodi – le navi arrivarono in Africa Orientale, India, Ceylon, Arabia.
Poi più niente: nel 1434 l’imperatore Hung Hsi decise di interrompere le esplorazioni. La Cina invece di guardare fuori, di proiettarsi nel mondo, scelse una strada diversa.
Dall’Ottocento in poi il confronto con il resto del mondo fu per il Celeste impero solo sinonimo di frustrazione, di sudditanza, di umiliazioni. Basti pensare alle terribili guerre dell’oppio volute da Sua Maestà britannica. In seguito il paese diventò oggetto di conquista esplicita, come dimostra l’occupazione della Manciuria ad opera del Giappone del 1931.
Se leggiamo da questa prospettiva il discorso di Xi Jinping, capiamo meglio sia l’orgoglio di un paese che è riuscito a risalire faticosamente tutti i gradini della storia, sia il riconoscersi di un popolo in un partito-Stato e l’importanza di far parte di una nuova antica civiltà rilanciata da Mao Zedong. Ecco uno stralcio.
“Con una storia di oltre 5mila anni, la Cina ha dato un contributo indelebile al progresso della civiltà umana. Dopo la guerra dell’oppio del 1840, tuttavia, la Cina fu gradualmente ridotta a una società semicoloniale e semifeudale e subì danni maggiori che mai. Il paese ha subito un’intensa umiliazione, il popolo è stato sottoposto a grande dolore e la civiltà cinese è stata fatta sprofondare nell’oscurità. Da quel momento, il ringiovanimento nazionale è stato il sogno più grande del popolo cinese e della nazione cinese”.
Ancora, “abbiamo realizzato il primo obiettivo centenario di costruire una società moderatamente prospera sotto tutti gli aspetti. Ciò significa che abbiamo portato una soluzione storica al problema della povertà assoluta in Cina, e ora stiamo marciando fiduciosi verso l’obiettivo del secondo centenario di trasformare la Cina in un grande paese socialista moderno a tutti gli effetti”.
“Un secolo fa, la Cina era in declino e stava svanendo agli occhi del mondo. Oggi, l’immagine che presenta al mondo è quella di una nazione fiorente che sta avanzando con uno slancio inarrestabile verso il ringiovanimento”. La Cina ha raggiunto questi traguardi “attraverso una lotta tenace”, leitmotiv reiterato ben quattro volte.
Adesso avanti a sé la Cina ha sfide da far tremare le vene e i polsi. Ne ricordiamo per lo meno due. Quel miliardo e trecento milioni di persone è una potenza economica e tecnologica di cui tutto il mondo ha bisogno e fa affari, ma fa paura, non ha alleati sinceri, è circondata da paesi ostili, dall’India al Vietnam, dalla Sud Corea al Giappone. La seconda sfida invece è tutta interna. Come può un regime totalitario governare in modo efficiente una società capitalistica moderna di quelle dimensioni senza per giunta trasformarsi in cleptocrazia?
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