I dati Eurostat dimostrano facilmente come il commercio tra Ue e Iran abbia subito una rilevantissimo calo soprattutto per quanto riguarda le importazioni petrolifere, calo determinato dallo politica anti-iraniana da parte americana. Scendiamo adesso nei dettagli. Cominciamo dal primo dato: se prima delle sanzioni americane il volume di scambi ammontava a 6 miliardi di euro adesso si aggira attorno ai 380 milioni di euro.



Il secondo dato è più circoscritto e quindi dà un’idea esatta della drammaticità della situazione. Italia e Spagna hanno subito una contrazione tra il 95 e il 97% .

Passiamo al terzo dato e cioè a quello relativo alle esportazioni in Iran: se nel 2018 erano di 4 miliardi di euro adesso si aggirano attorno ai 2 miliardi di euro. Come si è giunti ad una tale situazione e sopratutto chi ne sta traendo beneficio?



Donald Trump aveva annunciato l’8 maggio 2018 il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo nucleare con l’Iran, firmato nel 2015 e mettendo in atto severe sanzioni economiche contro Teheran e i suoi partner commerciali. Queste dichiarazioni hanno segnato l’inizio di un nuovo confronto economico coinvolgendo Stati Uniti, Germania, Francia, Italia ma anche la Cina.

All’Europa è stato fatto divieto di poter acquistare il petrolio iraniano. La Germania, il Regno Unito, l’Italia, la Francia hanno in questo modo rinunciato alla possibilità di posizionarsi come leader in un paese a lungo chiuso all’Occidente. Ebbene, nonostante le numerose dichiarazioni dei capi di Stato europei, del segretario generale delle Nazioni Unite e le promesse fatte di voler trovare una soluzione, il margine di manovra dei leader europei si è dimostrato molto limitato.



Tutto ciò dipende non solo dall’intrinseca debolezza dell’Unione Europea rispetto agli Usa, ma è anche la conseguenza della formidabile arma che rappresenta l’extraterritorialità della legge americana. Grazie a questo strumento infatti gli Stati Uniti sono riusciti a rendere il loro sistema legale una potente arma economica. In altri termini il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha il potere di citare in giudizio qualsiasi compagnia straniera che intrattiene relazioni con gli Stati Uniti e coinvolta in attività fraudolente (es. corruzione). Ad esempio, l’utilizzo del dollaro Usa come valuta o l’uso della casella postale Gmail conferisce al Dipartimento di Giustizia il diritto di interferire nelle pratiche commerciali di qualsiasi azienda nel mondo. In breve, con questo tipo di mezzi, gli Stati Uniti hanno una capacità di controllo totale su ciò che accade fuori dai loro confini. Come parte dell’accordo iraniano, ciò si traduce in un embargo economico che costringe l’Europa a smettere di commerciare con l’Iran senza essere in grado di impedire alle sue società di perdere i loro contratti.

Le dichiarazioni dei più alti rappresentanti europei (dichiarazione congiunta di Francia, Germania e Regno Unito), così come il viaggio del presidente francese Emmanuel Macron negli Stati Uniti, non hanno avuto effetto sullo stato di avanzamento del problema iraniano. La Francia in particolare ha subito un danno rilevante poiché sia la Total, sia il gruppo Peugeot-Citroën che Airbus avevano rilevanti interessi in Iran.

La Cina, approfittando di questa debolezza politica, ha deciso di mantenere e persino rafforzare le sue relazioni con l’Iran. In effetti, la risposta cinese all’annuncio del presidente Donald Trump è stata quella di dimostrare al governo iraniano la sua forte ambizione di prosperare nelle relazioni commerciali e nelle partnership strategiche. L’Iran naturalmente ha sottolineato il ruolo costruttivo della Cina. Questa posizione cinese costituisce la logica conseguenza di un’aperta conflittualità con gli Stati Uniti caratterizzata anche dalla guerra economica tra i due paesi. Inoltre, l’Iran è il più grande fornitore di petrolio della Cina con un quarto delle esportazioni verso il gigante asiatico.

In particolare le aziende cinesi non hanno esitato ad occupare le posizioni vacanti sul mercato iraniano lasciate scoperte dagli europei (ed in particolare dai gruppi francesi). Per quanto riguarda il petrolio, il China National Petroleum Corps (Cnpc) ha rilevato la partecipazione di Total nel giacimento di gas del sud Iran con una quota dell’80,1%. A seguito dell’accordo siglato nel luglio 2017 per un valore di 4,8 miliardi, Total deteneva il 50,1% seguito da Cnpc cinese con il 30% e Petropars iraniano (19,9). Dopo la partenza di Total dal consorzio, Cnpc ha rilevato tutte le azioni e si posiziona come un partner dominante nel campo dell’energia. La stessa strategia è stata attuata per l’industria dell’automobile attraverso la cinese Bejing Baic.

Insomma la Cina domina i settori strategici dell’economia iraniana con miliardi di dollari di investimenti e ciò sta determinando un rilevante vantaggio competitivo rispetto all’Europa, che dimostra sia l’assenza di una politica economica offensiva unitaria – a causa degli innumerevoli contrasti fra nazioni europee – sia ancora una volta la subalternità all’“alleato” americano.