L’accordo che la nostra compagnia petrolifera Eni ha siglato con l’Oman per l’esplorazione del giacimento di gas noto come Blocco 77 è certamente la concretizzazione dell’intesa preliminare siglata nel gennaio scorso con British Petroleum Oman e il Ministero del Petrolio e del gas. Ebbene, non c’è dubbio che questo accordo consenta a Eni di consolidare la sua posizione nel Medio Oriente. Sotto il profilo geoeconomico le consente anche di sfruttare il mercato del gas che è certamente meno saturo rispetto a quello petrolifero. Dal punto di vista geopolitico, come gli altri siglati con gli Emirati Arabi Uniti e il Regno del Bahrein, consente a Eni di porre in essere una politica estera autonoma rispetto al nostro Governo e soprattutto di ampio respiro. Inoltre, questa strategia di investimento in Medio Oriente sarà destinata, da un lato, a condizionare profondamente le scelte che verranno poste in essere dal nostro esecutivo sia in materia di politica estera che in materia di politica energetica e, dall’altro lato, potrebbe rivelarsi rilevante per consolidare la posizione del nostro Paese nello scacchiere mediorientale. Tuttavia le attività dell’Eni non sono certamente concentrate solo lì.



La nostra compagnia petrolifera ha posto infatti in essere la sua attività in 67 Paesi in tutto il mondo. Per farci un’idea, seppure sommaria e necessariamente approssimativa, della sua attività globale, è sufficiente fare riferimento alle nazioni e alle aree con le quali o dove ha realizzato le sue attività: Portogallo, Alaska, Golfo del Messico, Venezuela, Oceano Indiano, Mar Caspio kazako, Mare di Barents al largo della Norvegia, Ghana, Angola, Congo, Mozambico, Egitto, Libia, Libano, Cipro, Algeria, Tunisia, Oman, Iraq, Pakistan, Russia, Turkmenistan, Regno Unito ed Ecuador.



Facendo riferimento ai dati del 2018, Eni ha raggiunto una produzione di 1,9 milioni di barili/giorno, con un incremento del 5% nella produzione rispetto al 2017 e aumentando la sua attività con l’acquisto di titoli esplorativi tra Messico, Libano, Alaska, Indonesia e Marocco. Superfluo osservare che la nostra compagnia petrolifera, avendo un ruolo determinante nel fornire gli approvvigionamenti e la distribuzione di petrolio e gas abbia influenzato – e influenzi – in modo profondo le scelte di politica estera del nostro Paese.

Stando ai dati della Relazione finanziaria del 2018, il 52% delle risorse è situato in Africa, che con una produzione di 1,06 milioni di barili/giorno risulta certamente la più elevata a livello globale, mentre il 26% delle risorse è distribuito tra Asia e Oceania dove si producono 392 mila barili/giorno. Per quanto riguarda il gas e il petrolio questi sono rispettivamente venduti per il 50,8% e il 24%. Grazie alle attività di esplorazione, produzione di risorse fossili, processi di raffinazione, distribuzione e commercializzazione di olio e gas, Eni ha avuto ricavi di 75.822 milioni di euro secondo i dati del 2018 con un incremento di un +13% rispetto al 2017 (66.919 milioni di euro) e +36% rispetto al 2016 (55.762 milioni).



Considerando l’attuale situazione di instabilità politica presente in Libia, è utile rivolgere la nostra attenzione proprio all’attività posta in essere dalla nostra compagnia petrolifera in questa zona.
Per quanto riguarda l’inizio della presenza della Eni in Libia, la sua attività è cominciata nel 1959.
La superficie complessiva utilizzata da Eni per la sua attività è di circa 26.636 kmq.
Per quanto riguarda le attività di esplorazione e di sviluppo queste sono raggruppate in questo modo: 1) onshore: Area A, comprendente l’ex Concessione 82 (Eni 50%); Area B, ex Concessione 100 (Bu-Attifel) e il Blocco NC 125 (Eni 50%); Area E, con il giacimento El Feel (Eni 33,3%); Area F, con il Blocco 118 (Eni 50%); Area D, con il Blocco NC 169, nell’ambito del Western Libyan Gas Project (Eni 50%); 2)offshore: Area C, con il giacimento a olio di Bouri (Eni 50%); Area D, con il Blocco NC 41, parte del Western Libyan Gas Project.

Complessivamente nel 2018 la produzione Eni in Libia si aggira intorno ai 302 mila barili/giorno. Naturalmente le attività poste in essere dalla nostra compagnia petrolifera sono regolate da contratti che hanno una durata variabile dal 2038 al 2043 e proprio per questo la stabilità della zona libica è assolutamente una priorità sia per la nostra compagnia petrolifera, sia per il nostro Paese nel suo complesso.
Fra le attività di sviluppo dobbiamo prendere in considerazione l’avvio di un programma di ottimizzazione della produzione del giacimento di Wafa e quello di esplorazione grazie a un accordo con la società libica di stato NOC e con la britannica BP per l’assegnazione a Eni di una quota del 42,5% nelle aree contrattuali onshore A e B e nell’area offshore C. Non c’è dubbio che questo accordo consenta non solo il rilancio delle attività di esplorazione e sviluppo in stretta simbiosi con le infrastrutture dell’Eni.

Per quanto riguarda l’attività nel settore gas in Libia. questa si concretizza attraverso il gasdotto Green Stream prodotto dai giacimenti di Wafa e Bahr Essalam. Il gasdotto, lungo 520 chilometri, attraversa i fondali del Mar Mediterraneo collegando l’impianto di trattamento di Mellitah sulla costa libica con Gela in Sicilia, che è lo snodo di ingresso della rete nazionale di gasdotti. La capacità del gasdotto ammonta a circa 8 miliardi di metri cubi all’anno, mentre la produzione di gas naturale in Libia nel 2018 è stata di circa 33,4 milioni di metri cubi al giorno mentre l’approvvigionamento di gas naturale è stato pari a 4,55 miliardi di metri cubi. Ebbene, questa infrastruttura è assolutamente fondamentale per il nostro Paese perché garantisce la sicurezza energetica italiana.

Ora, l’avanzata del generale Haftar ha un impatto diretto sull’attività della nostra compagnia poiché il generale controlla quasi per intero i campi petroliferi libici: Sarara, che produce 315 mila barili al giorno, al-Fil (con 80 mila barili), il bacino della Sirte, che alimenta i due terzi della produzione di tutta la Libia e guarda caso proprio il campo di gas di Wafa che come abbiamo già detto è fondamentale per il Green Stream.

Accanto alla Libia il ruolo dell’Eni in Algeria – dove lavora in modo sinergico con la sua omologa Sonatrach che controlla l’80% del settore energetico algerino e costituisce un’istituzione di potere di analoga importanza rispetto alla classe politica e all’esercito – è di grande rilevanza per l’importazione di gas. Infatti, unitamente alla Libia, l’Algeria è il secondo fornitore di gas per il nostro Paese. Stando ai dati più recenti la produzione giornaliera è di circa 85.000 barili e ciò consente a Eni di essere l’azienda più importante in Algeria nonostante il fatto che abbia accordi di stretta collaborazione con la Total francese, con l’americana Anardarko e con l’anglo-australiana Bhp.
La situazione dell’Italia sul fronte energetico è dunque estremamente problematica poiché il nostro Paese fra petrolio, gas naturale, elettricità e combustibili solidi importa circa l’82% del suo fabbisogno, di cui il 40% delle importazioni energetiche dipendono da paesi come l’Algeria, la Libia – che hanno una permanente instabilità politica – e dall’Egitto. Per questa ragione diventa indispensabile una stretta collaborazione tra la classe politica italiana e l’Eni (oltre che con Snam ed Enel), con obiettivi e strategie comuni, stretta collaborazione che naturalmente passa anche attraverso l’efficienza e la professionalità dei nostri servizi di sicurezza.