Da oggi, lunedì 21 ottobre 2024, comincia il rush finale. Difficile sapere, alla luce dei sondaggi attuali, nella partita delle elezioni presidenziali che si gioca negli Stati Uniti, quale sarà il destino del mondo intero nel prossimo decennio. E già i quindici giorni che precedono l’elezione alla Casa Bianca, tra Kamala Harris e Donald Trump, possono riservare colpi di scena per nulla piacevoli.
Quasi negli stessi giorni del 1989, il 9 novembre (esattamente 35 anni fa), cadeva il Muro di Berlino, e finiva un’epoca, quella del “socialismo reale”, del marxismo in versione leninista. Per comprendere quella svolta epocale è inutile richiamarsi sempre alla “fine della storia”, sognata da analisti improvvisati, è meglio piuttosto rivolgersi alla perdita del ruolo di grande potenza dell’Unione Sovietica, alla nascita, dopo due anni, di quindici nuove repubbliche che uscivano dal socialismo di stampo sovietico e contemporaneamente alla fine della guerra fredda che aveva caratterizzato uno scontro ideologico-politico (con alcuni incidenti limitati di conflitti e altrettanti momenti di pericolo reale) dalla fine della seconda guerra mondiale.
Perdeva storicamente il marxismo-leninismo, l’Oriente se vogliamo schematizzare, con l’immagine anche delle proteste di Piazza Tienanmen a Pechino, tra l’aprile e il giugno 1989, terminate con un massacro.
Ma anche quello fu il segnale della fine del collettivismo marxista in versione maoista e l’abbraccio nel 2002 al capitalismo globalizzato della Cina con l’ingresso nel WTO.
Ma se François Furet, con il suo splendido libro Il passato di un’illusione, poteva analizzare lucidamente le fine del leninismo, anche tra sussulti pericolosi, dall’altra parte i seguaci del reaganismo e del thatcherismo si illudevano che in pochi anni le teorie elaborate dai “vati” del neocapitalismo come Friedrich von Hayek e Milton Friedman sarebbero diventate leggi universali e “immortali” che avrebbero assicurato al mondo un futuro radioso.
E se Margaret Thatcher, “la figlia del droghiere” come la chiamava Filippo d’Inghilterra, insisteva sulla sua teoria che la “società non esiste, ma è solo una somma di interessi individuali”, arrivava la crisi finanziaria del 2008 a spegnere gli entusiasmi del neoliberismo, che ripudiava l’economia mista, il keynesismo, la forza politica delle scelte del riformismo liberal-socialista e della socialdemocrazia, ossia i veri vincitori del dopoguerra in Occidente, con un benessere diffuso, con la creazione del welfare state, con la prudenza geopolitica e, anche puntando qualche volta i piedi, il rispetto dell’assetto geopolitico.
In questo quadro di “illusioni perdute” nasce la grande confusione che produce guerre in diverse parti del mondo, una generale corsa al riarmo, una crisi dell’ordine che sembra l’anticamera della rottura dell’ordine cioè della terza guerra mondiale.
Ora gli Stati Uniti sembrano in una fase declinante, in quanto a egemonia politica, economica e militare, ma sono ancora i protagonisti di un futuro mondiale che ha davanti passaggi delicatissimi. Se l’illusione leninista aveva cancellato l’ideale della democrazia, l’illusione neocapitalista ha provocato il primato della finanza sull’economia d’impresa e sulla stessa politica, una disuguaglianza sociale impressionante su scala mondiale, una globalizzazione senza regole che ha provocato reazioni impensabili con un ritorno a spinte nazionalistiche che sono sempre stati all’origine di conflitti, disordini e al tramonto della diplomazia, permettendo in questo modo che problemi non risolti da anni, ma solamente controllati, ritornassero a esplodere.
Il caso classico sta avvenendo in Medio Oriente, tra Israele e Iran, principalmente, con i gruppi filo-palestinesi guidati e foraggiati da Teheran.
Torniamo allora a esaminare la situazione degli Stati Uniti. Si diceva che è una potenza in declino, ma sarà senza dubbio ancora decisiva sul futuro geopolitico mondiale. Attenzione agli abbagli. Kamala Harris non rappresenta nessuna forma di liberalsocialismo che nasce dalla cultura dell’Europa. Ha un’ispirazione di sinistra americana. Ma nella sua stessa campagna elettorale ha corretto alcune aperture di quella sinistra.
Donald Trump è certamente un uomo di destra e forse anche uno spregiudicato golpista, se non lo si incalza con attenzione, ma non viene “da Marte”. Rappresenta piuttosto in modo esasperato il mondo impoverito di alcuni Stati-chiave industrializzati e una borghesia che non si ritrova più in questo mondo profondamente cambiato, economicamente, tecnologicamente e politicamente.
Secondo i sondaggi usciti nelle ultime 48 ore, Trump ha tendenze favorevoli in Pennsylvania, Michigan e Winsconsin, mentre si consolida in Georgia e Arizona. Kamala Harris è comunque vicinissima nei numeri e non sembra affatto sconfitta. Secondo i sondaggi i due hanno
le stesse chances di vittoria. In termini numerici c’è chi dice seccamente: cinquanta a cinquanta.
Ma la partita è talmente dura che ci sono incongruenze sulla possibilità di voto ad alcuni cittadini con più di diciotto anni nel Michigan che è uno Stato decisivo. E questo fatto delle incongruenze si potrebbe trasformare in contestazioni il 6 novembre mattina quando si conteranno i voti.
Paradossalmente, il duro scontro negli Stati Uniti, all’ombra della seconda grande illusione di questi ultimi cinquant’anni, cioè i “miracoli” del neocapitalismo, è la proiezione in un grande Paese dei durissimi scontri che avvengono ormai in tutto il mondo.
Prima del risultato della Casa Bianca è possibile che Israele, con la politica violenta di Netanyahu, sferri un attacco all’Iran favorendo un’escalation pericolosa; la Russia lancerà ancora minacce e boccerà i piani di Zelensky; la Cina insidierà ancora di più l’autonomia di Taiwan; l’Europa si dividerà al suo interno come al solito e confermerà la sua marginalità.
Quando ci si affida alle ideologie si cade sempre nelle illusioni e la realtà, presente e futura, diventa sempre più incerta e difficile da governare.
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