La richiesta ai Paesi europei membri della Nato di aumentare al 5% del loro Pil le spese per la difesa può sembrare una di quelle “sparate” tipiche di Donald Trump. Tuttavia, guardando la questione più a fondo, l’uscita del presidente americano più che una “sparata” sembrerebbe un vero e proprio “sparo” contro la Nato nella sua conformazione attuale. Infatti, la richiesta è stata accompagnata da un’aperta minaccia di uscita degli Stati Uniti dalla Nato, se gli europei non provvederanno più decisamente alla propria difesa.
A ben vedere, queste affermazioni sono del tutto coerenti con la proclamata strategia “America first”, determinante per la vittoria di Trump presso l’elettorato dell’America profonda. Un elettorato che è pensabile non sia particolarmente interessato a ciò che succede in Europa e che, a differenza di certi ambienti soprattutto in area democratica, vede il possibile pericolo nella Cina piuttosto che nella Russia. Lo schema di Trump sembrerebbe quindi ipotizzare una Nato “bifronte”: gli Stati europei, adeguatamente riarmati, a fronteggiare eventuali attacchi della Russia e il tumultuoso scenario mediorientale e africano, sull’altra sponda gli Stati Uniti a fronteggiare la Cina nel Pacifico e nell’America del Sud.
Vale la pena, a questo punto, dare un’occhiata alle cifre attuali dell’Alleanza Atlantica come riportate sul sito della Nato. Nel 2014, gli Stati membri si erano impegnati a portare, entro il 2024, le spese per la difesa almeno al 2% del Pil. Secondo le stime riportate nel sito, otto Stati sono tuttora al di sotto di tale soglia, compresa l’Italia che, con il suo 1,49%, si situa al terzo posto, dopo Croazia e Portogallo, e davanti a Canada, Belgio, Lussemburgo, Slovenia e Spagna, che chiude la lista con 1,28% del Pil. Tra il 2% e il 3% si contano 18 Paesi e cinque superano il 3%, con in testa la Polonia (4,12%), seguita da Estonia (3,43%), Stati Uniti (3,38%), Lettonia (3,15%) e Grecia (3,08).
Data le diverse dimensioni dei Pil, la classifica per valore di stanziamento è del tutto differente e vede al primo posto gli Stati Uniti con quasi 969 miliardi di dollari, mentre gli Stati europei contano globalmente per poco più di 476 miliardi (il Canada, con il suo 1,37%, vale 30,5 miliardi di dollari). Gli Stati Uniti, quindi, rappresentano il 65,6% dello stanziamento globale. Inoltre, la percentuale sul Pil degli Usa è del 3,38% contro il 2,02% in media degli altri membri. L’Islanda non appare nella classifica, in quanto priva di esercito.
La richiesta del 5% sembra quindi esagerata, ma se gli altri membri Nato dovessero stanziare globalmente quanto i soli Stati Uniti, dovrebbero comunque raddoppiare i loro investimenti: non il 5%, ma un 4% abbondante. L’attuale segretario generale della Nato, Mark Rutte, ha proposto una via di mezzo, che parrebbe ragionevole, cioè il 3% del Pil. Il suo Paese, l’Olanda è attualmente al 2,05%; l’Italia se la ”caverebbe” con il raddoppio dello stanziamento.
Vi è, però, un altro aspetto molto importante da considerare, cioè il modo in cui questi investimenti sono gestiti. I Paesi europei, anche quelli che fanno parte dell’UE, gestiscono separatamente i propri budget, con inevitabili sprechi e disfunzioni rispetto a una gestione centralizzata, come nel caso degli Stati Uniti. Il che pone il problema, evocato ormai da decenni ma mai risolto, di un esercito europeo, o quantomeno di un maggiore coordinamento tra le varie forze armate. Un’esigenza cui si dovrebbe dare una soluzione in tempo reale, se veramente la nostra sicurezza è sotto la minaccia di un prossimo attacco.
Ecco l’ultimo aspetto da considerare: qual è la probabilità che la Russia attacchi un Paese Nato? Soprattutto, i membri europei della Nato sarebbero in grado, con gli stanziamenti attuali, di far fronte a questi attacchi? Nonostante i notevoli aumenti delle spese militari in conseguenza dell’invasione dell’Ucraina, si stima che il budget per il 2025 della Russia ammonti a circa 150 miliardi di dollari, cioè meno di un terzo degli stanziamenti europei e poco più di un decimo del budget totale Nato. Cosa fatta presente recentemente anche dal generale Vannacci a Mark Rutte nel Parlamento europeo.
Il problema degli investimenti nella difesa non è da accantonare, ma piuttosto che sulla loro entità, occorrerebbe innanzitutto concentrarsi sull’efficacia del loro utilizzo e, in primo luogo, sulla progressiva costruzione di una difesa comune europea. Si potrebbe così scoprire che gli stanziamenti sarebbero sufficienti, se ben utilizzati.
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