L’aggressione della Russia all’Ucraina, secondo diversi commentatori, sta portando ad un inaspettato ravvicinamento tra gli Stati dell’Unione Europea in funzione antirussa. Tuttavia, ci si può chiedere quanto questo sia effettivo e che conseguenze avrà sui rapporti dopo la fine di questa guerra. Una fine che si spera avvenga presto sulla base di una soluzione concordata, perché ogni alternativa sarebbe disastrosa.
Uno dei Paesi in prima linea è la Polonia e a questo proposito è interessante il titolo di un articolo apparso su Politico: “Poland goes from zero to hero in EU thanks to Ukraine effort” (La Polonia passa da zero a eroe nell’Ue grazie allo sforzo per l’Ucraina). Dopo aver elogiato la generosità dei polacchi verso i rifugiati ucraini, l’articolo ricorda come la Polonia, prima dell’invasione russa, fosse considerata “the bad boy” a causa di un governo ritenuto al di fuori delle regole fondative dell’Unione. Il punto principale di dissenso era il tentativo del governo di condizionare l’ordine giudiziario, oltre che le posizioni non allineate su aborto e gender.
Il mancato adeguamento alla sentenza della Corte europea in materia ha comportato una multa di un milione di dollari al giorno comminata dall’Ue e ora in Polonia si spera in una sua cancellazione. Da quanto riportato, tuttavia, non pare che a Bruxelles vi siano resipiscenze a tal proposito e rimane da vedere quali saranno le reazioni dei polacchi, una volta passata l’attuale tempesta.
Un qualcosa di simile sta avvenendo con il Regno Unito ed ecco ancora un interessante titolo da Politico: “Putin blows up Brexit” (Putin fa esplodere la Brexit). Ironicamente, l’articolo suggerisce di dirlo sottovoce, ma di fronte alla questione ucraina vi è stato di fatto un riallineamento tra Uk e Ue. Anzi, Boris Johnson è stato il più deciso nelle dichiarazioni contro la Russia, forse anche più che gli stessi Stati Uniti e, comunque, più di molti altri governi europei. In particolare sono sotto tiro gli investimenti degli oligarchi russi, consistenti soprattutto a Londra, tanto che sui media inglesi si parla di “Londongrad”.
L’atteggiamento deciso di Johnson trova probabilmente motivazioni anche interne. Come è noto, il premier è finito sotto pesanti accuse per la vicenda dei festeggiamenti a Downing Street durante il lockdown, con l’invito a dimissioni anche dall’interno del suo partito. È impensabile, però, che queste richieste vengano rinnovate in presenza di una crisi di tale entità, per di più davanti a un comportamento così da leader globale nei confronti della Russia.
Una valutazione analoga si può fare, probabilmente, anche per il protagonismo di Emmanuel Macron, che non a caso ha dichiarato ora di voler partecipare alle presidenziali del prossimo aprile per una sua non sicura rielezione. Peraltro, l’Ucraina gioca un ruolo importante anche per le prossime elezioni negli Stati Uniti, nelle quali il Partito democratico rischia di perdere il Senato e, forse, la Camera. Nelle elezioni di midterm di novembre vengono infatti messi ai voti tutti i seggi della Camera e un terzo di quelli del Senato. Qui democratici e repubblicani hanno attualmente 50 seggi ciascuno e i primi devono contare sul voto decisivo di Kamala Harris che, come vicepresidente, presiede il Senato con diritto di voto. Il consenso per Joe Biden è ultimamente sempre più calante e la sfida con Putin può essere utilizzata a vantaggio, se non suo, del suo partito.
Particolarmente significativo è il cambiamento in corso nella politica estera tedesca, non solo per la posizione più dura verso la Russia del nuovo governo rispetto a quella di Angela Merkel. Il fatto rilevante è la decisione della Germania di riarmarsi, una decisione decisamente facilitata dall’aggressione russa all’Ucraina. Si può infatti pensare che qualche Stato europeo veda non positivamente un riarmo della Germania, finora dominante sotto il profilo economico, ma marginale per quello militare. Un ruolo invece ritenuto proprio dalla Francia, unica potenza nucleare dell’Unione Europea, che si propone come guida di un futuro esercito europeo.
Anche per Vladimir Putin l’esito della avventata avventura ucraina è rilevante sul piano interno, rendendo particolarmente pericolosa la situazione e fondamentale la ricerca, da parte dell’Occidente, di una rapida soluzione al conflitto. In un articolo del Sussidiario si intravedevano nell’invasione russa gli stessi criteri che paiono aver improntato gli interventi armati degli Stati Uniti: regime change e nation building. Si può aggiungere, tenendo conto della situazione interna della Russia, un altro concetto americano: brinkmanship, cioè sull’orlo del burrone. Una definizione resa famosa negli anni 50 da John Foster Dulles, con la minaccia di usare l’armamento nucleare per risolvere la questione coreana. Una minaccia ora sgradevolmente riportata alla memoria da Putin.
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