Qual è, in estrema sintesi, la posizione dei principali Paesi arabi nei confronti della Siria? Cominciamo la nostra rassegna dagli Emirati Arabi Uniti, che hanno deciso di riaprire la loro ambasciata nel 2018. Il riavvicinamento è dettato dalla necessità di contenere la presenza iraniana e se questo avvicinamento è stato possibile lo si deve soprattutto alla Russia, che aveva fatto da intermediario tra gli Eau e il regime siriano.
Certo, è difficile immaginare che allo stato attuale sia possibile espandere la presenza iraniana, ma i Paesi arabi sono persuasi che sul medio-lungo periodo la normalizzazione che hanno avviato con la Siria e il loro impegno economico possano indebolire gli interessi iraniani. In concreto, il riavvicinamento tra gli Eau e l’Iran si è manifestato durante l’incontro tra i ministri dell’Economia di Siria ed Emirati durante l’Expo 2022, a Dubai, e questo incontro ha posto in essere un contratto per la costruzione di una centrale solare di 300 MW nella regione di Damasco.
Passiamo all’Egitto, che è stato il primo soggetto politico a riavvicinarsi alla Siria. L’attuale presidente, infatti, fin dal 2013 ha sempre avuto un dialogo costante con l’attuale regime siriano e in alcuni casi lo ha apertamente sostenuto. Queste affinità dipendono dalle minacce poste dalla Primavera araba, dall’islam politico e dai Fratelli musulmani. Un ruolo certamente rilevante è stato svolto a partire dalla fine del 2018 dai direttori dei servizi segreti siriani e di quelli egiziani, i cui incontri avevano gettato le premesse per un dialogo costruttivo. In generale, l’Egitto non può che vedere in modo favorevole il consolidamento di un sistema politico come quello siriano: autoritario, nazionalista e laico.
Concludiamo, infine, parlando dell’Arabia Saudita, in cui una parte significativa dell’élite è ferocemente contraria al regime siriano, soprattutto dopo l’assassinio del primo ministro libanese Rafik Hariri, avvenuto nel 2005. Anche se i funzionari dei due Paesi hanno ripreso i contatti bilaterali, l’Arabia Saudita – rispetto agli Eau – rimane restia a riconoscere pubblicamente la Siria, come dimostrano le dichiarazioni molto dure del principe Sattam bin Khaled nel maggio 2021. Tuttavia le premesse per un clima di distensione, anche in questo caso, sono state poste dal dialogo bilaterale tra i rispettivi servizi di sicurezza, e cioè tra il maggiore generale Khaled Humaidan, capo dell’intelligence generale saudita, e il generale siriano Ali Mamlouk, noto per essere uno dei principali interlocutori delle forze armate russe.
Ad ogni modo, se l’Arabia Saudita intende fare qualche passo in avanti rispetto al riconoscimento del regime siriano, lo fa esclusivamente perché segue la medesima logica geopolitica degli altri paesi del Golfo, avendo come suo scopo quello di ridurre la presenza iraniana nel Paese. Non bisogna naturalmente sottovalutare neppure il fatto che il riavvicinamento dell’Arabia Saudita alla Siria dipende anche dal riavvicinamento saudita-iraniano necessario per risolvere anche la questione della guerra in Yemen, nella quale l’Iran gioca un ruolo molto importante.
A tal proposito, è necessario fare alcune precisazioni proprio in merito alle sinergie fra i servizi di sicurezza.
Khalid bin Ali al-Humaidan, capo della presidenza dell’intelligence generale saudita, ha contattato Esmail Khatib, ministro iraniano dell’intelligence e della sicurezza nazionale (Vaja, precedentemente noto come Vevak), così come il consigliere per la sicurezza nazionale degli Emirati, Tahnoon bin Zayed al-Nahyan, che è entrato in contatto con Ali Shamkhani, il capo del Consiglio supremo di sicurezza nazionale iraniano, proprio allo scopo di risolvere i problemi nello Yemen.
Infine, esiste un’altra problematica che sta riavvicinando il mondo arabo all’Iran ed è quella relativa ai negoziati nucleari organizzati a Vienna, negoziati che al di là dei risultati hanno visto il coinvolgimento non solo del capo del Consiglio supremo di sicurezza nazionale iraniano Ali Shamkhani e di Khalil bin Ali Al Humaidan, ma anche di Ali Asghar Soltanieh, che rappresentava l’Iran presso l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) a Vienna, dei rappresentanti del ministero dell’intelligence della sicurezza, del Vevak e dei Pasdaran.
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