Le politiche predatorie che Cina e Occidente continuano ad attuare in Africa provocano effetti devastanti sulle popolazioni di quei territori e, di conseguenza, su tutti i Paesi mediterranei. Tanto che, come ci ha ripetuto questa estate il Papa, “il Mediterraneo da luogo di comunicazione fra popoli e civiltà, è diventato un cimitero”. E, a metà ottobre in un videomessaggio alla Facoltà teologica di Sicilia, Francesco ha ribadito la necessità di lottare per “la difesa della dignità umana del Mare nostrum, spesso reso ‘monstrum’ dalle logiche di morte”.
E come non riconoscere la verità di queste parole davanti ai migranti che continuano a morire alle porte della Sicilia, a quelli che scappano da Paesi in guerra o in povertà assoluta e a quelli che vengono respinti o deportati da Paesi che si autodefiniscono altamente civilizzati?
Ben venga in questo contesto il Piano Mattei avviato dall’attuale governo italiano. La premier Giorgia Meloni ne ha parlato recentemente anche al Summit di Baku (Cop29) spiegando la strategia paritaria che l’Italia sta portando avanti coi Paesi africani.
Ma da solo il Piano Mattei non basta. Esso serve certamente ad attenuare le pratiche predatorie delle grandi imprese internazionali e offrire alcune tutele alle popolazioni. Eppure in questo momento storico in cui non solo il Mediterraneo, ma anche intere zone del Medio Oriente e della Palestina sono diventate un cimitero per le devastanti guerre in atto, occorre avere una visione nuova e più inclusiva. Non basta pulirsi la coscienza creando anonime strutture di accoglienza temporanea per i migranti o proponendo affari agli Stati africani in cambio di gas o petrolio. Serve qualcosa di più radicale e umano. E qui, prima che Mattei, conviene ricorrere a quel profeta della pace che fu il siciliano Giorgio La Pira, che a partire dal 1958 radunò a Firenze e fece dialogare i governanti dei Paesi del Mediterraneo.
Secondo La Pira, i popoli mediterranei, che discendono dall’unica famiglia di Abramo, hanno un destino comune a livello spirituale, culturale e politico. Da qui la necessità del dialogo culturale e religioso come arma per fermare l’odio e le guerre. Solo così, sarà possibile riattivare l’incontro fra i popoli. Ce lo hanno testimoniato al Meeting di Rimini due papà, uno ebreo e uno palestinese, entrambi vittime della violenza (hanno perso ciascuno una figlia ad opera dei nemici), che anziché cedere alla tentazione della vendetta, hanno scelto la via del perdono e sono divenuti amici, testimoniando ai rispettivi popoli e al mondo come si può ricostruire la pace.
Pratica del perdono e promozione della giustizia intessendo “reti di salvezza, reti evangeliche fedeli al modo di pensare e di amare di Gesù”: è quello che ha chiesto Papa Francesco nel suo messaggio alla Facoltà teologica di Sicilia ed è ciò che ci hanno testimoniato Giorgio La Pira e i martiri della fede contemporanei.
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