Come abbiamo più volte sottolineato, la scoperta di grandi giacimenti di gas al largo di Israele, Cipro, Egitto e Libano ha fatto sì che il Mediterraneo orientale rivesta un ruolo importante nella geopolitica dell’energia. Tuttavia l’attività di produzione di gas o petrolio nell’offshore profondo è redditizia solo a lungo termine e presenta notevoli sfide tecniche ed economiche. Non solo: il potere politico che governa quest’area del Mediterraneo orientale spetta a tre autorità con le quali è necessario trattare, i cui interessi economici possono divergere nel tempo. Questa realtà mette a dura prova le prospettive future di quest’area, almeno fino a quando la dimensione politica non sarà stata risolta in modo sicuro.
Grandi depositi di gas naturale sono stati scoperti nelle Zee (Zone economiche esclusive) di Egitto, Israele e Cipro. Le Zee meno estese di Siria e Libano devono ancora essere esplorate o confermate. Queste scoperte nel Mediterraneo orientale avrebbero riserve potenziali dell’ordine di 3,5 trilioni di metri cubi di gas, di cui circa la metà sono riserve accertate equivalenti a quelle ancora disponibili per la Norvegia dopo trent’anni di approvvigionamento dall’Unione Europea. In particolare, quasi ad uguale distanza dalle coste del loro paese, si trovano i tre depositi di Zohr (Egitto), Leviathan (Israele) e Afrodite (Cipro) rispettivamente con riserve accertate di 850, 450 e 140, per un totale di 1.440 miliardi di metri cubi. I leader di questi tre paesi si sono riuniti per considerare una soluzione comune per commercializzare questo gas per l’esportazione. Si è parlato della costruzione di un gasdotto sottomarino diretto in Grecia e in Italia, che sarebbe un concorrente diretto del gas azero che attraversa la Turchia.
Allo stesso tempo, i governi di Turchia e Libia hanno delimitato i loro confini Zee, invadendo le Zee dei paesi sopra elencati, creando ulteriori fonti di incertezza e complicazioni legali. Infine, la dimostrazione di forza della Turchia con l’invio di navi sismiche in preparazione per le operazioni di esplorazione nella Zee greca ha solo aggiunto un fattore geopolitico in un clima già molto teso. Tutti questi fattori di incertezza e potenziali conflitti non sono favorevoli allo sviluppo della produzione di gas in quest’area del Mediterraneo orientale. Questa situazione non impedisce a Egitto e Israele di produrre, consumare ed esportare gas dai giacimenti vicini alle loro coste, la cui proprietà non è in discussione.
Veniamo adesso alla Turchia. È necessario sottolineare che esiste un equivoco di natura geografica: la grande scoperta infatti annunciata il 21 agosto 2020 dal presidente Erdogan non si trova nel Mediterraneo, ma nel Mar Nero. Questo è il giacimento di Sakarya, situato a circa 170 chilometri a nord della costa turca con una profondità dell’acqua di 2.110 metri e una profondità totale di 4.775 metri. Secondo le informazioni pubbliche, è stato scoperto dalla perforazione di un unico pozzo, il Tuna-1, effettuato dalla nave esplorativa Fatih (“Il conquistatore”, in turco). Le riserve, inizialmente annunciate in 800 miliardi di metri cubi, sono state rivalutate dall’operatore Tpao (Turkish Petroleum Corporation) a 320 poi a 405 miliardi di metri cubi il 17 ottobre 2020. Una seconda perforazione, Turkali 1, è prevista per novembre. Una seconda nave esplorativa, il Kanuni (“Il legislatore” in turco) sta per raggiungere il Mar Nero.
Sakarya ha il vantaggio di essere vicina al mercato turco. Se prodotto, il suo gas rifornirà il mercato turco, rafforzerà la sicurezza dell’approvvigionamento del paese e migliorerà la sua bilancia commerciale. Tuttavia, mettere in produzione Sakarya nel 2023 è un obiettivo che ignora i tempi dell’industria del gas. Questa scoperta dovrà essere confermata prima di passare alla progettazione e costruzione degli impianti della fase di produzione del progetto.
Non dimentichiamoci che le ambizioni della Turchia sono multidimensionali e sfaccettate. Hanno un impatto diretto sull’Europa dall’Atlantico al Caucaso attraverso il Mediterraneo e il Medio Oriente. Ovviamente le dimensioni geopolitiche e religiose hanno la precedenza sulle altre, e non è chiaro se abbiano una loro dimensione strategica o siano semplicemente tattiche. Detto questo, le ambizioni energetiche sono molto legittime per qualsiasi paese, soprattutto quando si tratta di sicurezza dell’approvvigionamento di gas.
L’approvvigionamento di gas della Turchia è compreso tra 45 e 50 miliardi di metri cubi all’anno; è ben diversificato. Il gas arriva ad ovest dal Turk Stream, che sostituirà gradualmente la rotta storica attraverso Ucraina, Romania e Bulgaria, a nord dal Blue Stream attraverso il Mar Nero a 2000 metri di profondità, a est dal confine con l’Iran e a nord-est dal confine con la Georgia per il gas azero. Inoltre, due terminali Gnl terrestri (Izmir Aliaga, Marmara Ereglesi) e due terminali Gnl galleggianti (Etki e Dörtyol) hanno una capacità di ricezione totale di circa 25 miliardi di metri cubi, di cui solo la metà è utilizzata, il che lascia una notevole flessibilità; ricevono gas naturale liquefatto (Gnl) da Algeria, Nigeria, Qatar e altre fonti, più recentemente gas di scisto dagli Stati Uniti.
Per quanto riguarda il Tanap (Trans Anatolian Pipeline) messo in servizio di recente, trasporterà in una prima fase 6 miliardi di metri cubi all’anno di gas azero verso la Grecia, che rappresenta poco più dell’1% del fabbisogno dell’Unione Europea. Questo è ciò che resta del progetto “Corridoio Sud”, un tempo studiato sotto il nome “Nabucco”, promosso dall’Unione Europea per ridurre l’influenza russa nell’approvvigionamento di gas.
Insomma, queste scoperte di grandi giacimenti di gas naturale hanno determinato una evidente conflittualità esacerbando i problemi geopolitici già esistenti in una regione certamente non semplice dal punto di vista geopolitico.
Pensiamo al fatto che Israele è in guerra con il Libano e i due paesi non sono d’accordo sul corso delle rispettive Zee; la Siria è in rovina, il conflitto israelo-palestinese continua e resta la questione di una possibile Zee per Gaza; la Turchia occupa ancora la parte settentrionale di Cipro, nega all’isola il diritto di avere una Zee e rimette in discussione il Trattato di Losanna che ha stabilito, nel 1923, i confini greco-turchi e infine, la Libia è destabilizzata e in guerra civile, con interventi stranieri che complicano ulteriormente la stabilità della regione.
Queste scoperte modificano notevolmente il destino energetico degli Stati che si affacciano sul bacino levantino. Israele diventa una potenza esportatrice di gas naturale, l’Egitto inizialmente soddisfa i propri bisogni e progetta di diventare un hub energetico regionale, Cipro fa affidamento sulle sue risorse naturali per ottenere la riunificazione dell’isola. Allo stesso modo, il Libano e la Siria potrebbero considerare di sfruttare le rispettive risorse; Il Libano ha concesso le prime licenze di ricerca-sfruttamento e la Siria ha fatto lo stesso a vantaggio, non a caso, delle aziende russe. E ancora una volta la Turchia svolge in questa partita un ruolo decisivo.
Ma ritornando alla Turchia, l’occupazione della parte settentrionale di Cipro (dal 1974) è una delle componenti della questione. La novità arriva dalla reazione della Turchia alla possibilità che Cipro sfrutti le risorse naturali situate nella sua Zee. Ricordiamo che Cipro ha proceduto alla delimitazione della sua Zee con Egitto e Israele, firmato con il Libano ed era in trattative con la Siria (prima del conflitto) sulla base della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (1982). L’isola ha poi concesso accordi di ricerca/sfruttamento a varie società. Hanno ottenuto le licenze la società americana Noble Energy, il consorzio italo-coreano Eni-Kogas, la francese Total, da sole o in joint venture con Eni, e l’americana ExxonMobil alleata della Qatar Petroleum.
La Turchia, da parte sua, afferma che Cipro, come tutte le isole del Mediterraneo, non ha una Zee. Ankara, che non riconosce la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, ha una posizione arbitraria sull’argomento, una posizione propria: ritiene che le isole non abbiano Zee in mari chiusi o semichiusi.
Nonostante le minacce turche contro le compagnie petrolifere che lavorano con Cipro, ci sono state numerose perforazioni esplorative nella Zee del paese e scoperte significative di gas naturale in quantità sfruttabili: Noble Energy (scoperta di un giacimento contenente da 100 a 170 miliardi di metri metri cubi di gas naturale nel blocco n. 12), ExxonMobil con Qatar Petroleum (da 170 a 230 miliardi di metri cubi nel blocco n. 10) ed Eni con Total (grande giacimento non ancora quantificato nel blocco n. 6).
Di fronte a queste scoperte, la Turchia è diventata ancora più aggressiva, inviando navi da esplorazione e perforazione nelle acque cipriote, accompagnate da navi da guerra. La Turchia ha effettuato otto sondaggi illegali nella Zee di Cipro. Applica la tattica dell’accerchiamento a Cipro mantenendo costantemente la pressione su di essa, con, in definitiva, il pieno controllo dell’isola. La sua ultima provocazione, a parte la quasi costante invasione della sua Zee, è stata l’apertura allo sfruttamento e infine la colonizzazione, l’8 ottobre, del quartiere chiuso di Famagosta, città portuale svuotata della sua popolazione nel 1974 e rimasta una città fantasma.
In concomitanza con la minaccia contro Cipro sta crescendo una minaccia crescente contro la Grecia. Dal 10 agosto 2020, la Turchia ha schierato nello spazio marittimo greco, fino alla costa di Creta, la sua nave sismica Oruç Reis, accompagnata da forze militari navali, costringendo la Grecia a fare lo stesso. Grecia, Francia, Italia e Cipro hanno condotto un’esercitazione militare congiunta nel Mediterraneo orientale dal 26 al 28 agosto, inviando un chiaro messaggio sulla volontà di questi paesi di sostenere il rispetto del diritto internazionale. Secondo una dichiarazione del ministero francese delle forze armate, “Cipro, Grecia, Francia e Italia hanno deciso di schierare una presenza congiunta nel Mediterraneo orientale nell’ambito dell’Iniziativa di cooperazione quadripartita”. Il ministro delle Forze armate, Florence Parly, ha inoltre precisato che il Mediterraneo “non deve essere un terreno di gioco per le ambizioni di alcuni; è un bene comune”.
Il presidente turco ha precisato da parte sua: “Non faremo assolutamente nessuna concessione su ciò che ci appartiene. Invitiamo le nostre controparti a […] fare attenzione a qualsiasi errore che potrebbe aprire la strada alla loro rovina”. Poi ha aggiunto: “La Turchia prenderà ciò che è suo di diritto nel Mar Nero, nel Mar Egeo e nel Mediterraneo […]. Per questo, siamo determinati a fare tutto ciò che è necessario politicamente, economicamente e militarmente”. Il discorso è stato pronunciato durante una cerimonia che commemora la battaglia di Manzikert nel 1071, che segna l’ingresso dei turchi in Anatolia, in seguito alla vittoria del sultano selgiuchide Alp Arslan sui bizantini. Le marine dei due paesi sono sull’orlo dello scontro quando a metà agosto una nave greca si scontra con una nave turca.
Alla già complicata situazione, la Turchia ha aggiunto un nuovo elemento relativo al conflitto libico. Dalla caduta del colonnello Gheddafi, la Libia è entrata in un’area di instabilità in cui si sono sommersi molti attori con interessi divergenti. L’Egitto, sostenuto dagli Emirati e dall’Arabia Saudita, sostiene il maresciallo Haftar, che controlla la Cirenaica. Anche la Russia è in questo campo. Al contrario, la Turchia, sostenuta dal Qatar, sostiene il governo Sarraj, che controlla la regione di Tripoli. Approfittando di questo sostegno, la Turchia ha firmato due accordi (27 novembre 2019) con il leader di Tripoli. Uno militare, l’altro marittimo. L’accordo di delimitazione della piattaforma continentale marittima tra i due paesi ignora completamente l’esistenza di Cipro, Creta e altre isole greche nel Mar Egeo. Inoltre, il desiderio di Erdogan di prendere piede nel continente africano e cambiare la situazione geopolitica in quest’area sconvolge molti altri attori internazionali. La Libia è per la Turchia uno degli “ingressi” a questo spazio, da qui il suo desiderio di stabilire basi permanenti in questo Paese.
Questa esplosiva situazione geopolitica mostra la necessità di sviluppare la cooperazione in questa regione travagliata. La cooperazione tra Cipro, Grecia e Israele ha preso rapidamente forma. Altri sono seguiti, coinvolgendo Egitto e Giordania, sempre con la partecipazione di Cipro e Grecia. Anche Italia e Francia sono molto presenti per il coinvolgimento di Eni e Total, ma anche per tutelare questo comune spazio vitale che è il Mediterraneo.
La firma, all’inizio di gennaio 2020, di un accordo interstatale tra Israele, Cipro e Grecia, per la costruzione del gasdotto sottomarino EastMed, è uno dei piani ambiziosi di questa cooperazione. Con un costo di circa 7 miliardi di euro, questo gasdotto consentirebbe la consegna di gas cipriota e israeliano alla Grecia continentale, via Creta, e oltre all’Italia e all’Europa occidentale (tra 9 e 11 miliardi di metri cubi/anno, corrispondenti a circa il 15% del consumo europeo energia nel gas naturale). Sebbene economicamente questo progetto sia costoso, geopoliticamente è di assoluta importanza per la costruzione dell’indipendenza energetica dell’Europa. Va inoltre notato che nel gennaio 2019 i paesi della regione hanno creato il Forum del gas del Mediterraneo orientale, che mira a gestire il futuro mercato del gas – una coalizione che include Cipro, Grecia, Israele, Egitto, Italia, Giordania e Palestina. La Turchia denuncia che questo potrebbe minacciare i suoi interessi. Tuttavia altri tre sviluppi positivi si sono verificati durante l’estate del 2020: la Grecia ha proceduto alla delimitazione della sua Zee con l’Italia e l’Egitto e questa delimitazione, basata sulla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, riconosce ovviamente una Zee per le isole.
Infine, il Consiglio europeo ribadisce nelle sue conclusioni del 2 ottobre 2020 la sua solidarietà con Cipro e la Grecia, specificando che sarebbero state adottate sanzioni contro la Turchia nel caso in cui quest’ultima continuasse a violare le Zee dei due paesi membri dell’Ue. Ankara ha immediatamente respinto la decisione, dicendo che il suo programma di ricerca nel Mediterraneo orientale sarebbe proseguito. Tanto più che l’Oruc Reis è ancora nelle acque cipriote e che la Turchia ha deciso di aprire allo sfruttamento, sicuramente ai fini di un’imminente colonizzazione, il distretto chiuso di Famagosta, e questo in violazione di tutte le risoluzioni degli organismi internazionali. La continua pressione della Turchia su Cipro non solo si sta intensificando pericolosamente, ma la Turchia porta in essere una lucida politica proiezione di potenza marittima.