Il 30 gennaio 2024, Transparency International – un’organizzazione internazionale indipendente che si occupa di corruzione – ha pubblicato l’ultimo aggiornamento del Corruption Perception Index (CPI), un indicatore sintetico che misura il livello di corruzione percepito in oltre 180 Paesi. Il CPI impiega tredici dataset prodotti da diversi organismi, come World Bank, World Economic Forum, compagnie private e think tanks, e misura la percezione espressa da esperti di ciascun paese valutato relativamente a corruzione, dirottamento di fondi pubblici ed effettiva azione penale intrapresa nei confronti di reati di corruzione dai rispettivi sistemi giuridici nazionali. Il CPI è espresso su una scala da 0 a 100, con 0 che indica un alto livello di corruzione percepita e 100 un livello basso.



Il CPI ha diversi punti di forza che lo rendono uno strumento per certi aspetti utile. In primo luogo, fornisce una misura della corruzione facile da comprendere, che può essere utilizzata per confrontare i Paesi e monitorarne i cambiamenti nel tempo. In Italia, dopo un trend in costante miglioramento osservato negli ultimi dieci anni, il CPI si è stabilizzato nel 2024, per il terzo anno consecutivo, su un punteggio di 56, segnale probabile di scelte politiche che non hanno pienamente convinto, diffondendo un certo grado di sfiducia tra gli esperti del settore chiamati a rispondere. Per avere un termine di paragone, si consideri che, nel 2024, i Paesi della penisola scandinava si confermano tra quelli con il più basso livello di corruzione percepita. All’estremo opposto si trovano paesi come Siria, Libia e Afghanistan lacerati da conflitti interni e lontanissimi da una condizione di garanzia democratica dei diritti civili e politici.



Malgrado alcune indicazioni utili che si possono ricavare dal CPI, l’indagine di Transparency International presenta alcuni limiti che devono essere presi in considerazione quando se ne interpretano i risultati. In primo luogo, il CPI si basa sulle percezioni, che non sempre riflettono accuratamente il vero livello di corruzione in un Paese. È stato, per esempio, dimostrato che la percezione della corruzione è influenzata da fattori non direttamente collegati alla sua esperienza diretta: mediamente, tende ad essere più alta a seguito di crisi politico-economiche e quando c’è un’alta copertura mediatica di fatti o scandali di corruzione.



Ma qual è il vero livello di corruzione di un Paese e come si misura? Non esiste una risposta univoca e semplice a questa domanda, prima di tutto perché la corruzione è un fenomeno complesso e difficile da definire a causa delle sue diverse manifestazioni che influenzano vari settori della società. Pertanto, l’ostacolo iniziale nella sua misurazione risiede nel definire chiaramente il termine corruzione nelle sue diverse accezioni e delineare i sintomi che catturano efficacemente le sue dimensioni. Un ulteriore sfida nella misurazione della corruzione deriva dalla sua natura segreta: la corruzione non può essere osservata direttamente poiché chi è coinvolto in attività illecite ha interesse a nasconderle.

Tradizionalmente, la corruzione viene misurata, oltre che attraverso le misure basate sulla percezione, attraverso indagini che rilevano il coinvolgimento diretto nella corruzione e le statistiche giudiziarie. Ciascuna presenta limiti e vantaggi tali da renderla preferibile per determinati obiettivi conoscitivi e misuratori, ma non per altri.

Rispetto ad altri crimini, misurare la corruzione si rivela generalmente più difficile a causa di fattori come l’assenza di vittime immediate disposte a denunciare, la paura di ritorsioni contro i denuncianti e le capacità investigative e processuali limitate in alcune giurisdizioni. La figura oscura della corruzione, con la sua quota di incidenti non segnalati alle autorità, è probabilmente più alta rispetto a quella di gran parte degli altri crimini, a causa di una riluttanza a denunciare derivante dalla paura, dalla potenziale complicità o dai guadagni diretti dal comportamento corrotto. Ecco spiegato perché le indagini internazionali che rilevano l’esperienza diretta in fatti o eventi di corruzione da parte di manager del settore privato – come la World Bank Enterprise Survey (WBES) – presentano notevoli limiti legati alla distorsione delle risposte dovuti al meccanismo della desiderabilità sociale, un meccanismo che conduce talvolta ad una sottostima e altre ad una sovrastima del fenomeno corruttivo e che è difficilmente controllabile, essendo legato all’interesse del rispondente.

Anche le statistiche giudiziarie, per quanto utili a fini di quantificazione ex post di reati emersi di corruzione passati in giudicato, presentano potenzialità limitate soprattutto nelle indagini internazionali a causa della ridotta confrontabilità di sistemi giuridici nazionali. Inoltre, la circostanza che in un Paese si rilevi un basso numero di sentenze per reati di corruzione può essere segnale non solo di bassa corruzione, ma anche riflesso di scelte politiche dirette a rimuovere o declassare certi reati di corruzione.

Dati questi limiti, nell’ultimo decennio si è assistito ad uno spostamento di attenzione verso nuovi indicatori di corruzione, le cosiddette red flags, ovvero indicatori di rischio di corruzione che, individuando anomalie nei sistemi pubblici, alzano la bandierina rossa a supporto del decisore politico, svolgendo un ruolo cruciale nella formulazione delle politiche anticorruzione e migliorandone le capacità di prevenzione.

Il problema del rischio di corruzione è balzato all’attenzione della comunità internazionale soprattutto con la crisi portata dalla pandemia da Covid-19, che ha notevolmente aumentato il rischio di transazioni corrotte nel sistema degli appalti pubblici, principale responsabile della fornitura di beni e servizi essenziali per garantire la sopravvivenza dei cittadini.

Con il coordinamento dell’Università di Perugia, un progetto finanziato dalla Commissione Europea denominato CO.R.E. – Corruption Risk Indicators in Emergency – si è occupato negli ultimi due anni di sviluppare nuovi indicatori di rischio di corruzione in grado di rilevare efficacemente i rischi di corruzione in contesti emergenziali. Gli indicatori misurano rischi specifici associati all’operato di stazioni appaltanti e aziende aggiudicatarie di appalti e, una volta aggregati a livello provinciale, consentono una mappatura granulare dei rischi a livello territoriale rispetto a specifici ambiti a rischio di corruzione.

Ad esempio, è stato osservato che durante la pandemia da Covid-19 le province italiane a più alto rischio rispetto allo scostamento tra valore economico di aggiudicazione dell’appalto e quota liquidata a conclusione del rapporto contrattuale si concentrano in alcune aree centrali e del Nordest (come Pisa, Siena, Firenze, Trento e Treviso) e in province del Sud e delle isole (come Bari, Lecce, Agrigento).

Tuttavia, il quadro provinciale del rischio di corruzione durante l’emergenza Covid cambia molto se si considerano altri indicatori red flags, così una provincia può risultare ad alto rischio di corruzione secondo specifici indicatori di rischio, ma non per altri.

Nel complesso, il quadro informativo fornito dagli indicatori red flags è cruciale per comprendere i diversi rischi associati ad unità amministrative territorialmente localizzate e consente di approntare interventi di prevenzione della corruzione circoscritti alle aree geografiche e ai settori del sistema degli appalti pubblici a maggior rischio.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI