Il giurista Alessandro Mangia ha terminato la sua intervista di ieri al Sussidiario sulla rielezione di Ursula von der Leyen osservando che “le sorprese non sono finite. Anzi, cominciano oggi”. Certamente si riferiva alle sorprese che ci aspettano fino alle elezioni americane di novembre, tralasciando quelle che ci hanno accompagnato da qualche anno. Sorprese che riguardano la certificazione di verità su questioni fino a poco tempo fa ritenute “fake news”. Per esempio, l’origine artificiale del virus Covid-19 è ora confermata dal 90 per cento degli scienziati. L’inefficacia e la scarsa sicurezza dei cosiddetti vaccini è stata ammessa dalle stesse case produttrici. Esistenza e danni provocati dalle cosiddette scie chimiche, sempre meno ridicolizzate, vengono testimoniate da crescenti documentazioni fotografiche e da analisi dell’aria, dell’acqua e dei terreni. Le certezze granitiche sulle cause antropiche del riscaldamento climatico sono messe in dubbio e criticate da un numero crescente di autorevoli Premi Nobel.



E mentre Ursula von der Leyen viene eletta grazie al voto dei verdi, confermando il progetto del Green Deal, Larry Fink  – l’ad del più ricco e potente fondo investimento del mondo, BlackRock – scrive nella recente lettera annuale agli azionisti che la de-carbonizzazione avverrà in tempi assai più lunghi e lontani del previsto.



Assai giustamente Mangia fa notare che il percorso della nuova Commissione non sarà una passeggiata, visto che un’Europa attraversata da mille tensioni si presenta arroccata in uno scenario mondiale destinato a cambiare con enorme e imprevista rapidità.

La crescita dei Paesi denominati Brics si è dimostrata più veloce e ampia del previsto, la de-dollarizzazione del mondo (che comporta l’inevitabile fine dell’impero americano) è già partita, le previsioni di una sempre più possibile vittoria di Trump, miracolosamente scampato ad un attentato assai simile a quello di Kennedy, fanno immaginare un contesto in cui i progetti di Ursula von der Leyen assumono l’aspetto di un arrocco a fronte di un percorso del tutto imprevisto dell’economia, della geopolitica e della storia in generale.



Occorre quindi fare molta attenzione nel giudicare gli avvenimenti, analizzando freddamente ipotesi, cause ed effetti, cosa che da tempo non fanno più i media cosiddetti mainstream, tutti allineati su una sola narrazione imposta dai loro azionisti, guarda caso accuratamente gestiti da un colossale gruppo di potere economico/finanziario il cui giro d’affari è pari a quello del Pil del terzo Paese del mondo. A questo “Stato profondo” vengono imputate molte decisioni prese a livello mondiale da loro dirigenti approdati ai vertici di governi e istituzioni mondiali.

Dopo il mancato attentato a Trump, tutto un quadro che sembrava granitico si sta dissolvendo: pressato da eventi di portata epocale come la nascita dei Brics, e da molti errori commessi per avidità e brama di potere, lo Stato profondo, come un grande scorpione ferito, sembra reagire con scomposti colpi menati all’impazzata.

Le ricostruzioni del tentato assassinio di Trump fanno emergere un inquietante quadro di un’azione studiata con troppa fretta, e attribuita subito al solito pazzo isolato, guarda caso eliminato immediatamente come avvenne con Oswald, l’ipotetico assassino di John Kennedy.

Passate poche ore, succede un fatto enorme: in tutto il mondo si bloccano all’improvviso tutte le attività gestite con software Microsoft: voli, trasporti, logistica, banche, sistemi sanitari. I telegiornali si affrettano a parlare di baco informatico, di un errore nell’implementazione di un aggiornamento di un programma di sicurezza.

I popoli sconvolti dal caldo se la bevono come se nulla fosse, se non si rivelasse fin troppo plausibile. Quindi la sicurezza di attività chiave del mondo intero può essere messa in crisi da un semplice baco? E proprio – che paradosso – durante l’aggiornamento di un programma di sicurezza?

Ci pensa la rete, in particolare X (ora di Elon Musk) a far circolare altre ipotesi. I Paesi colpiti sono praticamente tutti della Nato, per cui potrebbe trattarsi di un avvertimento della Russia, minacciata dalla nuova più aggressiva strategia dell’Alleanza e dalle ambizioni militari della nuova Commissione. Ma potrebbe anche trattarsi di un segnale ad opera del “partito unico” di cui sopra, spaventatissimo dalla piega che sta prendendo la campagna elettorale americana.

Scampato all’attentato, Trump si è affrettato a selezionare un vice-presidente molto ben visto dai colletti blu e dagli operai, che sta inoltre assicurando al tycoon – grazie ai suoi consolidati rapporti con gli investitori della tecnologia – l’appoggio della Silicon Valley, fino a ieri sostanzialmente democratica. Una vera rivoluzione in grado di spostare molti voti.

È almeno da un anno che nel mondo americano dei Servizi girano ipotesi su come evitare una vittoria repubblicana: 1) Sospendere le elezioni causa nuova drammatica pandemia. Nonostante gli strilli della veterinaria Ilaria Capua e nuovi bollettini su casi di estivi di Covid, sembra un pericolo per ora da scartare. 2) Un attentato al candidato repubblicano. Sembrava un’enormità, invece è puntualmente successo. 3) Un blackout totale per impedire elezioni e conteggio dei voti. Con immediata precipitazione degli USA in una guerra civile, come ampiamente illustrato nel film di Alex Garland da poco uscito nelle sale, Civil War. Secondo alcuni, quanto successo ieri è stato un avvertimento: possiamo controllare tutto e con uno schiocco di dita far crollare il mondo nel caos, se continuerete a votare i conservatori. E molto altro.

Una cosa è certa: anche in certe ristrette sale di comando si sta sviluppando il fenomeno del bandwagoning (salire sul carro del vincitore), per cui grandi investitori, invece che impegnarsi in battaglie perigliose, preferiscono allearsi con il nemico di ieri. Dunque, prepariamoci, davvero fino a novembre avremo un susseguirsi di sorprese.

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