Il documento intitolato Democratic defense against disinformation pubblicato in lingua inglese nel febbraio del 2018 a cura dell’Atlantic Council e redatto da Alina Polyakova, analista del Center of the United States and Europe Brookings Institution, e dall’ambasciatore Daniel Fried, membro del Future Europe Initiative and Eurasia Center dell’Atlantic Council, sta alla base della strategia messa in atto sia della Nato che dell’Ue per contrastare in modo efficace e capillare la disinformazione russa.



Un documento che dovrebbe essere letto con estrema attenzione anche da parte di quei giornalisti che non sono consapevoli del fatto che la disinformazione russa, ampiamente nota ed analizzata in Occidente, non può che essere inevitabilmente oggetto di analisi e di contrasto, in un contesto di vera e propria guerra psicologica, come accadeva d’altra parte durante la Guerra fredda.



Quali sono le indicazioni e linea di massima che il documento fornisce agli organismi decisionali internazionali?

In primo luogo l’Ue e la Nato, in coordinamento con i governi nazionali, possono svolgere un ruolo diretto nel contrastare gli organi di propaganda russi. La task force East StratCom dell’Ue, il Centro di eccellenza StratCom della Nato e organismi simili istituiti dai governi nazionali (tra cui Lituania, Lettonia, Finlandia, Estonia, Regno Unito, Svezia, Repubblica Ceca e Germania) hanno lanciato operazioni ufficiali di contropropaganda e contro-influenza. Il team di East StratCom è diventato sia un hub di dati, che raccoglie e condivide informazioni sulla disinformazione, sia un mezzo per sfruttare gli sforzi nazionali e sensibilizzare sul problema. Il Centro StratCom della Nato si è impegnato in un lavoro analitico sulla metodologia di disinformazione della Russia, mentre la Divisione diplomazia pubblica contrasta la disinformazione principalmente sulle attività della Nato.



Il documento consiglia caldamente alla Commissione europea e al Parlamento europeo di continuare a finanziare la East StratCom attraverso il bilancio dell’Ua (ad un minimo di 1,1 milioni di euro all’anno, come stabilito nel bilancio 2018–20). L’Ue dovrebbe anche espandere il mandato di East StratCom per includere tutti gli Stati membri.

In secondo luogo l’Ue dovrebbe richiedere a tutti gli Stati membri di fornire un esperto nazionale distaccato alla task force East StratCom. Allo stesso modo, la Nato dovrebbe continuare a sostenere il Centro di Eccellenza StratCom a Riga. La Nato dovrebbe anche prendere in considerazione la creazione di un secondo centro nel sud dell’Europa, che si concentrerebbe sull’identificazione delle minacce emergenti nel fianco meridionale della Nato.

In terzo luogo il nuovo gruppo ad alto livello (Hlg) della Commissione europea sulle notizie false e la disinformazione online dovrebbe, come primo ordine del giorno, valutare gli sforzi governativi esistenti per contrastare la disinformazione e produrre una serie di migliori pratiche comprovate. Nell’ambito della sua funzione consultiva presso la Commissione, l’Hlg ha il compito di valutare “l’efficacia delle misure volontarie messe in atto dalle piattaforme online e dai mezzi di informazione” per contrastare la disinformazione. Includendo le società tecnologiche come membri di Hlg, il gruppo ha il potenziale per fungere da ponte tra l’Ue e il settore privato.

È evidente che in un contesto di tale natura il ruolo dei social media è fondamentale. Cosa dice a questo proposito il documento?

Le società di social media non dovrebbero e non possono essere gli “arbitri della verità”, ma hanno la responsabilità di prevenire e anticipare la manipolazione dannosa delle loro piattaforme e delle opzioni disponibili a tal fine. Le organizzazioni dei media tradizionali dovrebbero identificare i contenuti provenienti da organi di propaganda come Rt e Sputnik e trattare la loro produzione come intrinsecamente sospetta. Giornalisti e ricercatori dovrebbero etichettare esplicitamente la propaganda e le fonti discutibili nei loro rapporti (ad esempio, “il mezzo di propaganda russo Rt” piuttosto che “l’organizzazione di notizie russa Rt”).

Proprio per questo i relatori sconsigliano di inserire storie create da Rt e Sputnik. Tuttavia, le aziende tecnologiche – Twitter, Facebook, Google e altri, e in alcune aree i fornitori di servizi Internet (Isp) come Verizon, Att e le società Isp non statunitensi – possono e devono adottare misure per limitare gli effetti della disinformazione.

In secondo luogo sarà necessario identificare ed etichettare gli autori di Rt e Sputnik come organi di propaganda russi e il loro materiale come propaganda. Questa sarebbe una misura di trasparenza, non una restrizione alla loro capacità di trasmettere.

In terzo luogo sarebbe necessario riprogettare gli algoritmi di Facebook, Google e Twitter per identificare meglio i contenuti “credibili” rispetto a quelli “deboli” sulla base di metriche trasparenti, come punti di riferimento indipendenti di terze parti per la qualità dei media (ad esempio, lo Stanford Web Credibility Project) e la longevità del sito (un indicatore per i siti di disinformazione pop–up). I contenuti deboli dovrebbero essere retrocessi o disattivati.

In quarto luogo sarebbe necessario limitare la diffusione di organi di propaganda noti come Rt/Sputnik (ma ancora una volta, non vietarli). Più in generale, i social media dovrebbero introdurre maggiore trasparenza su come funzionano i loro algoritmi e perché gli algoritmi favoriscono alcuni contenuti rispetto ad altri.

Una ultima considerazione infine: credo sia lecito domandarsi se da parte delle istituzioni preposte al contrasto della disinformazione non ci sia la volontà a propria volta di disinformare. Qual è infatti il confine tra un’informazione corretta, neutrale e invece un’informazione tendenziosa? Come può un utente comune discernere tra la disinformazione occidentale e quella russa?

Qual è il confine che passo tra la censura e la tutela degli utenti dalla disinformazione? Ed infine: questo documento ha qualche attinenza con la vicenda attuale del Corriere della Sera e del Copasir?

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