Con due italiani su tre in zona rossa e una campagna vaccinale che sconta tutti i ritardi precedenti, il governo Draghi è alle prese con la quarta ondata dell’epidemia. Un’emergenza che non accenna ad allentare la morsa. Ma oltre a dimostrare la capacità di gestire l’esistente e i suoi (non pochi) problemi, secondo Luigi Fabbris, associato a Tolomeo Studi e Ricerche Srl di Padova e già professore di Statistica sociale all’Università di Padova, è proprio questo il momento in cui serve abbinare anche una capacità di visione, perché la ripartenza post-Covid è tutta da programmare e costruire, almeno su quattro fronti: natalità, volontà di fare impresa, lavoro da remoto, ripresa dei rapporti sociali.



Quali sono i problemi aperti in questa fase dell’epidemia?

Il problema chiave in questa fase dell’epidemia è, senza dubbio, la rapidità con la quale riusciremo a procurarci e a far somministrare i vaccini. Per procurarceli, è necessaria un’azione energica del Governo nazionale. Qualora le case farmaceutiche da cui li abbiamo comperati – e in parte già pagati – non ce li dessero in tempi brevi, dobbiamo cercarli presso chi ce li può vendere, anche se questo dovesse cambiare la geografia politica.



In concreto?

Se si decide di cambiare fornitore, si dovrà capire quanto soffriamo sul piano economico. La possibilità di rescindere i contratti stipulati dall’Unione Europea nell’agosto 2020 con le sei case farmaceutiche con cui li abbiamo stipulati dipende in larga misura da ciò che la Commissione Ue e i nostri governanti di allora hanno pattuito. Purtroppo, i contratti sono tenuti segreti e solo per un errore tecnico siamo venuti a conoscenza delle risibili pattuizioni stabilite dalla Commissione europea con AstraZeneca. Se anche gli altri contratti sono simili a quello con AstraZeneca – e troppi fatti suggeriscono che è così –, non ci sono speranze di ottenere quote importanti di vaccini prima dell’autunno del 2021. Anche eventuali azioni di ricusazione dei contratti o di ricontrattazione dei termini farebbero perdere mesi. E, in questo caso, la rapidità di somministrazione dei vaccini è altamente correlata con la positività dei risultati attesi.



C’è dunque un buon motivo per intraprendere azioni di ricerca di vaccini sul libero mercato, da subito?

Sì. Se ciò avvenisse per iniziativa spontanea dei governi nazionali, qualora ciascun Paese riuscisse a debellare il virus per proprio conto, l’Europa resterebbe un’espressione senza fondamento politico. Se, invece, l’azione di ricerca fosse svolta con energia dall’Europa, si potrebbero avere dei riscontri positivi anche in breve tempo. E la Commissione potrebbe così rimediare alla brutta figura fatta con i contratti nello scorso agosto. Resterebbe solo da decidere quando e come mandare a casa chi non si è dimostrato competente, ma questo è un altro discorso.

Quanto spazio di manovra ha il governo Draghi?

È piuttosto ristretto. Riguarda non solo il momento contingente, ma l’assetto diplomatico di lungo periodo. Se si muove autonomamente, può agire come se l’Europa non esistesse, pensando al proprio benessere immediato, oppure può sollecitare l’Europa ad agire con energia e tempestività, eventualmente creando corridoi nei quali si possono inserire le azioni degli Stati nazionali. Nel primo caso, l’Europa diventerà, e non solo per l’Italia, un organo burocratico, privo di valore politico futuro. Nel secondo, il riconoscimento dell’autorità politica dell’Europa non potrà che dare valore alle azioni svolte a livello nazionale.

Che cosa suggerirebbe al nuovo governo per dare una svolta nella strategia anti-Covid?

Della necessità di creare un sistema informativo-statistico e di agire con rapidità nella vaccinazione abbiamo già detto. Siccome pensiamo che sia autorevole il governo che è in grado non solo di tamponare le deficienze, ma anche di programmare gli interventi con la mente proiettata nel futuro, suggerirei di pensare da subito al post-pandemia. Ci sono alcuni temi che, da studioso di scienze sociali, considero rilevanti e che dovrebbero essere materia di indagine statistica. Suggerisco al governo di promuovere una ricerca tematica da svolgere mentre l’epidemia è in corso.

Su quali temi?

Il primo tema è la possibile durata del calo della natalità. In Italia, la natalità è in calo da anni e il fenomeno si è accentuato nel 2019 e nel 2020 e, secondo le previsioni dell’Istat, si prolungherà nel 2021. Le previsioni dell’Istat sono calcolate come se, nel futuro, le cose andranno come nel passato. Invece, è possibile che, a causa della paura per il virus, ci sia stato un differimento dei concepimenti e che, appena finita l’epidemia, si verifichi una ripresa delle nascite, come fu dopo la seconda guerra mondiale. D’altronde, è possibile che la situazione economica e sociale post-Covid peggiori ulteriormente per le incertezze e i depauperamenti indotti dall’epidemia. Quindi, esiste motivo per capire in anticipo cosa ne pensano le coppie, e più particolarmente le donne, in merito ai figli futuri, al fine di calibrare le decisioni pubbliche sulla promozione della natalità.

Oltre alla natalità?

Un secondo tema riguarda la volontà di fare impresa. Le difficoltà economiche hanno colpito, per ora, in modo particolare i liberi professionisti e varie imprese del commercio, della socialità e del tempo libero. Inoltre, i ristori “a pioggia” e i redditi d’emergenza hanno rinvigorito negli italiani una già diffusa mentalità assistenziale. Vari sintomi fanno capire che, appena possibile, molti lavoratori autonomi saranno tentati dal lasciare o ridurre l’attività, generando un vuoto improvviso nella capacità di creare ricchezza nel nostro Paese. È importante che queste attese e le corrispondenti alternative che si pongono i nostri imprenditori (e i lavoratori autonomi nel complesso) siano conosciute prima possibile e senza mediazioni.

Sul fronte del lavoro?

Un terzo tema di ricerca riguarda il lavoro da remoto. Lo smart working ha coinvolto e sta coinvolgendo la quasi totalità dei lavoratori del pubblico impiego e la componente impiegatizia delle attività produttive private. È possibile che una parte delle attività resti in smart working, anzi che possa persino ampliarsi, anche dopo la pandemia. Bisogna capire quanto il fenomeno del lavoro da remoto sia considerato – da chi lo pratica e da chi lo subisce – un’occasione di efficienza funzionale e di partecipazione sociale. Tra l’altro, se ben gestito, questo modo di produrre potrebbe favorire la ripresa della natalità. Insomma, chi ci guadagna e chi ci perde con lo smart working e che cosa si può fare in alternativa è tutto da scrivere.

E dal punto di vista dei rapporti sociali?

Un ultimo, rilevante, tema di ricerca riguarda la ripresa dei rapporti sociali. Durante l’epidemia, si sono rinforzati i legami famigliari, ma quelli extra-famigliari si sono notevolmente allentati. Si è inoltre compresso, se non estinto, il desiderio di fare vacanze lontano da casa. Come sanno le banche e le assicurazioni, la propensione al risparmio si è moltiplicata durante l’epidemia. Può darsi, ma non è certo, che la fine del contagio liberi energie volte a riprendere i consumi di vario tipo, compresi quelli edonistici e culturali, e ad investire in beni durevoli. Può darsi che riprenda la voglia di viaggiare e di vivere assieme agli amici. Può darsi che riprenda la voglia di fare del volontariato. Può darsi.

In conclusione?

Il dopo epidemia non è solo questione di residui di timore del virus o di micro-traumi per come è stato vissuto l’evento epidemico, ma è anche, e soprattutto, una questione di ricostruzione delle strutture sociali, meritevole di una riflessione politica. Vediamo se il nuovo Governo avrà la capacità di visione che gli si attribuisce.

(Marco Biscella)

(2 – fine)

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