In questi ultimi giorni si è parlato molto dell’importanza del ruolo che l’industria dei semiconduttori italo-francese ST Microeletronics potrebbe giocare nel contribuire a rendere l’Europa autonoma da Taiwan e dalla Cina. Ma esistono alcuni aspetti poco conosciuti che sarebbe meglio indagare e svelare ai lettori. Insomma un dietro le quinte non proprio piacevole, soprattutto per quei giornalisti che si limitano a trascrivere le veline governative.



Se è in dubbio che a partire dal 1992 l’istallazione di queste industrie di semiconduttori in Francia (e più esattamente nella valle del Grésivaudan, 15 chilometri a Nord di Grenoble) è stata sempre oggetto di elogi da parte dei presidenti francesi, da Chirac a Macron, come dimostra il fatto che lo Stato francese intende versare dai 5 ai 7 miliardi di euro per l’estensione dello stabilimento della ST, pochi osservatori sanno che questa multinazionale elettronica è controllata parzialmente dalla banca pubblica di investimento francese Bpifrance e dal ministero dell’Economia italiano, ma è anche collegata a GlobalFoundries, un altro gigante dei semiconduttori, domiciliato nelle Isole Cayman che ha come principale azionista il gruppo Mubadala, un fondo sovrano degli Emirati Arabi Uniti. Non deve allora sorprendere il fatto che questa multinazionale abbia installato la sua sede operativa in Svizzera, mentre la sua holding è nei Paesi Bassi dove vi sono benefici fiscali molto rilevanti.



Esiste un secondo aspetto degno di osservazione che viene costantemente sottovalutato dagli apologeti dell’industria elettronica e cioè che tutte le industrie di semiconduttori hanno una vera e propria fame di acqua. Sia lo stabilimento dell’industria microelettronica ST sia un’altra multinazionale che si trova vicino alla ST e che si chiama Soitec, anch’essa specializzata in semiconduttori, consumano quasi 29mila metri cubi al giorno, l’equivalente della città di Grenoble, dei suoi 160mila abitanti, delle sue industrie, dei suoi laboratori di ricerca, delle sue attività municipali o commerciali. Ora, se l’ampliamento della ST si farà, questo determinerà un aumento dei consumi dell’acqua che potrebbe arrivare fino a 33mila metri cubi al giorno. Ecco perché la scorsa estate è nato un movimento di protesta a Grenoble, un vero e proprio collettivo che si chiama stopST, contro l’accaparramento delle risorse idriche da parte dell’industria dei semiconduttori, accaparramento che ovviamente danneggia i privati ma anche gli agricoltori.



Un altro aspetto collegato all’aspetto idrico delle industrie microelettroniche è il fatto che queste inevitabilmente scaricano acqua inquinata. Ad esempio, nel 2021 ST utilizzava 21 tonnellate di sostanze chimiche all’anno. Tali scarichi non sono soggetti ad alcun controllo indipendente. ST è tenuta solo a dichiarare gli “indicatori di base” che “ritiene più rappresentativi della sua attività”, secondo il principio di eco-responsabilità del Sistema comunitario di gestione ambientale e di audit (Smea) che disciplina le dichiarazioni ambientali nell’Unione Europea dal 2001. Impossibile quindi conoscere le quantità di altre sostanze utilizzate nel loro sito (tungsteno, cobalto, titanio o tantalio) e rilasciate ogni giorno nel fiume Isère. Ma ST assicura che i suoi “effluenti sono trattati in conformità con le normative vigenti”. Peccato che le stesse dichiarazioni siano state fatte dall’industria chimica che poi ha contribuito a contaminare la falda freatica di Grenoble.

Il terzo aspetto che vorremmo sottoporre all’attenzione dei lettori è l’uso che viene fatto di questi semiconduttori: essi sono molto richiesti nell’ambito dell’automobile, dell’intelligenza artificiale, dell’automazione. I chip prodotti a Crolles si trovano nei satelliti Starlink di Elon Musk, nelle auto autonome, nei computer di ultima generazione o in molte armi sofisticate, come i droni russi impiegati in Ucraina.

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