Caro direttore,
siamo sicuri che il colonialismo sia stato debellato? Se rivolgiamo il nostro sguardo al mondo difficilmente potremmo avallare questa tesi. Degli esempi? La Francia chiama le proprie colonie come la Guadalupe e la Martinica caraibica dipartimenti oltremare; Tahiti e le Marchesi polinesiane vengono definite eufemisticamente collettività d’oltremare. Non c’è dubbio che la fantasia lessicale sia di grande effetto. Ma la sostanza rimane quella. Se poi rivolgiamo il nostro sguardo al Regno Unito avremo le Bahamas caraibiche che rientro nel reame del Commonwealth, mentre l’Irlanda del Nord viene definita nazione costitutiva. Quanto poi alla patria della democrazia, cioè gli Stati Uniti, Portorico viene denominato territorio non incorporato, mentre le Hawaii Stato federato. Ma sempre colonie rimangono.
È difficile negare che i cartografi al servizio del potere politico abbiano reso possibili le colonie a livello globale. Ad esempio, i cartografi che lavorarono per il Trattato di Berlino del 1885 spartirono l’Africa tra le potenze europee determinando conseguenze che ancora oggi sono evidenti; anche la divisione dell’India tra indù e musulmani che sorse nel 1947 ha causato – e causa – guerre etniche devastanti. Allora, cioè nel ’47, determinò 1 milione di morti.
Ma se parliamo di colonie non possiamo non pensare – soprattutto in questo frangente storico – alla Palestina e alla dichiarazione di Balfour del 1917, che viene citata ma che è poco conosciuta nella sua interezza. Balfour dichiarerà in modo esplicito che il sionismo è radicato in tradizioni secolari ed è più importante delle speranze e dei desideri dei 700mila arabi che abitano la Palestina. La Palestina dovrà dunque accogliere il massimo numero di immigrati ebrei ottenendo anche il controllo dell’acqua ed espandendo i suoi confini a nord. Quanto alla Palestina, dovrebbe espandersi nella terra est del Giordano. Parole indubbiamente profetiche. Ebbene, proprio nel ’48 è nata una colonia ebrea in Palestina non molto diversa da quelle francesi o inglese presenti in Africa e in Asia. Possiamo giocare con le parole finché vogliamo, ma il sistema politico che oggi regna in Israele è un sistema di apartheid, come fu definito non da qualche intellettuale di estrema sinistra, ma da Mandela, Desmond Tutu e persino dal rispettabilissimo democratico americano Jimmy Carter.
Quando si parla di Palestina si parla di terrorismo anti-israeliano, ed è sicuramente vero, almeno in parte. Ma se guardiamo con attenzione, le cronache ci dicono che nella prima intifada i soldati israeliani sparavano ai bambini palestinesi che tiravano le pietre; nella seconda intifada vi erano i kamikaze palestinesi che si facevano esplodere mentre l’esercito israeliano demoliva il loro case. E se poi arriviamo alla terza intifada, è vero che Hamas ha ucciso numerosi israeliani – 1.200 nel 2023 – ma è altrettanto vero che l’invasione di Gaza attualmente posta in essere da Israele ha determinato fino a questo momento 34mila vittime.
Esiste quindi una assoluta sproporzione numerica, che tuttavia non deve sorprendere, perché Israele fino al 2006 porta avanti una tipologia di guerra asimmetrica che fu teorizzata dalla cosiddetta dottrina Dahiya, secondo la quale bisogna esplicitamente fare uso spropositato della forza violando ogni norma del diritto internazionale. A noi italiani questa dottrina ricorda quello che i nazisti fecero nelle Fosse Ardeatine nel 1944 quando per ogni tedesco ucciso furono ammazzate 10 persone.
Ma le malefatte del colonialismo non si contano: la gloriosa Gran Bretagna, patria del liberalismo, fece due guerre dell’oppio per imporre alla Cina non le dottrine del libero mercato di Adam Smith teorizzate nella Ricchezza delle nazioni, ma per imporre l’uso della droga. Se poi guardiamo al genocidio americano attuato dagli europei nel Cinquecento non possiamo dimenticare che di 80 milioni ne restarono 10. Quanto poi a quello africano, che si colloca fra il 1600 e la fine del 1800, il numero complessivo arriva intorno ai 60 milioni, stando alle stime dello storico David Stannard.
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