Qualche giorno fa Huawei ha deciso di investire in Italia 3,1 miliardi dollari nei prossimi 3 anni. A fronte di questi investimenti in Italia verranno creati mille posti di lavoro, a cui se ne aggiungeranno altri 2mila nell’indotto. Rimane tuttavia aperto il problema relativo alle tempistiche previste dal decreto sul Golden power 5G per la valutazione dei rischi e delle possibili violazioni alla sicurezza nazionale, che sono state ampliate fino a 165 giorni per un’adeguata valutazione dei rischi per la sicurezza nazionale.



Nonostante Huawei sia stata inserita a maggio nella “entity list” del dipartimento del Commercio statunitense dopo l’incontro con il presidente cinese, Xi Jinping, in Giappone, da un lato Trump ha annunciato che le aziende statunitensi potranno nuovamente vendere prodotti a Huawei, e dall’altro lato il segretario al Commercio, Wilbur Ross, ha sottolineato che le licenze di vendita potranno essere rilasciate salvo che non ci siano problemi relativi alla sicurezza nazionale. Tuttavia dobbiamo domandarci se effettivamente il controllo della tecnologia 5G non rappresenti un pericolo per la sicurezza nazionale del nostro paese alla luce del caso australiano.



Infatti una riflessione sulla penetrazione cinese in Australia ci consente di sottolineare come la Cina stia cercando di condizionare profondamente le scelte politiche ed economiche di Canberra attraverso vari strumenti, come l’Istituto delle relazioni sino-australiane (Acri) della Sydney University of Technology, che ha ricevuto una donazione di 1,8 milioni di dollari da Xiangmo Huang, un milionario sino-australiano fondatore della società australiana Yuhu.

Ciò non dovrebbe destare alcuna sorpresa, se pensiamo che nel 2012 la National Broadband Network (Nbn) aveva vietato a Huawei, dietro parere dell’Australian Security Intelligence Organization (Asio), di rispondere, per ragioni di cybersicurezza, alle gare per il progetto Nbn (un piano in cui lo Stato australiano ha investito 38 miliardi di dollari, iniziato nel 2009 e che probabilmente verrà completato nel 2020. Il suo obiettivo è collegare il 93% dell’Australia alle fibre ottiche).



Non a caso Huawei è stata sospettata dall’Australia di essere utilizzata dai servizi segreti cinesi a scopo di sorveglianza o spionaggio ed è quindi stata al centro del dibattito politico nel paese anche in relazione alla necessità di creare le adeguate infrastrutture per la rete 5G che consentirebbe – sempre in linea teorica – alla società cinese di attuare una sorveglianza ampia ed articolata in Australia, soprattutto considerando il fatto che, a livello giuridico e politico, le società cinesi sono tenute a riferire al Partito comunista cinese tutto ciò che può essere utile alla sicurezza nazionale. D’altra parte Huawei è stata fondata da Ren Zhengfei, membro del Partito comunista cinese, ex ufficiale dell’Esercito popolare di liberazione e allo stato attuale presidente della società.

Non solo l’Australia ha sottolineato la pericolosità di affidarsi a Huawei: anche l’India nel 2009 aveva vietato a Huawei di vendere la sua tecnologia nelle aree vicine al Pakistan per motivi di sicurezza.

Ebbene, al di là di questi sospetti circostanziati, è arduo negare che il mondo anglosassone, nel contesto di una guerra economica sempre più aperta e feroce con la Cina, abbia tutto l’interesse a mantenere i suoi sospetti sul gigante cinese allo scopo di promuovere aziende come Telstra o Intel. Opportunamente il responsabile di Huawei Australia, John Lord, non solo ha avuto modo di sottolineare la sua assoluta indipendenza dalle scelte politiche cinesi ma ha affermato di essere pronto a far analizzare e testare le tecnologie dell’azienda e a fornire tutte le informazioni richieste dai servizi segreti australiani, giocando quindi, a livello di guerra della informazione, sulla trasparenza.

Questo conflitto tra Australia e Cina ci consente di sottolineare non solo la centralità, nel contesto politico attuale, della guerra economica tra Stati e aziende, ma ci consente ancora una volta di riflettere sulla necessità da parte dell’intelligence italiana di sorvegliare con estrema attenzione la postura offensiva cinese nel nostro paese per tutelare la nostra sovranità economica. Infatti la collocazione geografica dei principali centri di innovazione e sperimentazione di Huwaei e dell’altra azienda cinese Zte è in prossimità alle principali basi Nato e comandi militari americani (Catania, Cagliari, Bari, Roma, Prato, Segrate e Torino).

Risulta presumibile – e sottolineiamo presumibile – che la Cina possa servirsi di questi centri per attuare operazioni di spionaggio a danno degli Usa e della Nato, operazioni che fra l’altro la Cia e l’Nsa hanno compiuto anche nel contesto europeo durante e dopo la conclusione della Guerra fredda.

In conclusione la reazione americana alla logica di espansione economica cinese in Italia è non solo motivata dal timore che le proprie infrastrutture militari possano essere attenzionate dall’intelligence cinese, ma è motivata anche dal fatto che la Cina, secondo gli Usa, potrebbe sostituirla come punto di riferimento per l’innovazione tecnologica (per esempio nel contesto dell’Artificial intelligence).