Le relazioni internazionali sono un parallelogramma di forze molto complesso e composito in cui il posizionamento geografico si colloca in subordine rispetto alla capacità e alla volontà politica, alla storia, alle tecniche e alle tecnologie di cui gli Stati dispongono.
La vicenda in corso di Aspides, ossia la missione militare navale schierata a difesa dello stretto di Bab el-Mandeb e dei traffici del Mar Rosso minacciati dalla potenza semi-statuale Houthi (asimmetrica come può esserlo un popolo e un gruppo dirigente che controllano città e regioni importanti dello Yemen e che hanno respinto la volontà sterminatrice saudita), dimostra perfettamente questa mia tesi (contraria a risolvere il tutto con la cosiddetta geopolitica).
Bisogna difendere i flussi commerciali costi quel che costi: la guerra sui mari è in corso e non si può più ricorrere a eufemismi come quelli putiniani (operazioni speciali, eccetera). Certo le guerre per procura son più difficili da combattere e da comprendere, ma dobbiamo attrezzarci perché sono l’essenza delle guerre di oggi. E la guerra degli Houthi è proprio un caso da manuale.
Essa si scatena simultaneamente al pogrom di Hamas, dopo l’annuncio di voler fare del porto israeliano di Haifa il punto antipodale della nuova cosiddetta via del cotone varata nel corso dell’ultimo G20 e diretta a contrastare la Via della seta cinese e ad ampliare gli Accordi di Abramo, sino a isolare l’Iran e mortificare tutti coloro che nel Grande Medio Oriente hanno rapporti preferenziali o potenzialmente tali con la Cina, la Russia e tutti i satelliti anti-anglosfera… Non a caso già assistiamo a manovre navali congiunte nell’area di Russia, Cina e Iran.
L’Aspide però è una vipera velenosa e va maneggiata con cura. Per questo all’Italia – che è stata designata alla guida dell’operazione di pattugliamento e difesa dei traffici – spetta un compito tanto difficile quanto importante. Invece la Spagna – che guarda sempre più al Sudamerica, senza più essere un impero ma solo uno Stato con nazioni pronte a esplodere l’una contro l’altra – si guarda bene dall’avvicinarsi e la Francia è in una tale crisi in Africa e in Libano da non potersi farsi carico di un simile impresa. La Grecia, anch’essa una potenza di mare, non ne ha la potenza militare e alla Turchia non si può neppure pensare, tanto è impegnata a ricostruire l’impero ottomano. Quindi, non poteva essere che l’Italia a porsi alla testa e a domare la vipera.
Del resto presiederà il prossimo G7 e non c è potenza marittima meglio dell’Italia nel Mediterraneo.
Chi ha conosciuto l’ammiraglio Credendino sa che i nostri marinai sono tra i più bravi al mondo (come dimostrò anche l’operazione Mare Nostrum) e sa anche che il prestigio delle nostre forze armate – a cominciare dal Libano e dal Congo – è tra i più alti nell’area del Grande Medio Oriente. Del resto se il Piano Mattei dovrà inverarsi sarà per un disegno non solo industriale, ma anche diretto a risolvere i conflitti e a gestire la deterrenza contro il terrorismo. Un combattimento duro e pericoloso.
Ma non ci si esalti (il riferimento storiografico è pertinente), anche il Piemonte cavouriano divenne nuovamente potenza europea come lo era stato – di nuovo dopo la Pace di Aquisgrana del 1748 – con la Guerra di Crimea: questa volta, però, inserendosi con il peso dell’interesse nazionale italiano prevalente nel gioco delle grandi potenze.
Le relazioni internazionali, come dicevo…
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