Le guerre di lunga durata storicamente sono state foriere di via via sempre crescenti allargamenti del conflitto originario. Raymond Aron parlava di frane, di smottamenti, di rivelazioni di incerti equilibri drammaticamente votati al proliferare bellico. È ciò che sta succedendo con il conflitto intraimperialistico e imperiale russo di aggressione all’Ucraina.
Il peristaltico instabilissimo connubio azeri-armeni è in frantumi è l’Armenia rischia o la fine o la sua sussistenza grazie a un nuovo conflitto. Ma la Russia dovrebbe questa volta combattere in guisa difensiva anziché aggressiva. Diversamente da ciò che si appresta per interposta piccola ma sanguinosa potenza nei Balcani, dove l’aggressività serba non si placa nelle rovine dei bombardamenti Nato di mano italico-nordamericana degli anni Novanta del Novecento. Del resto tutto iniziò con il riconoscimento della Croazia da parte della Germania, non concordato con l’Ue, da cui scaturì quel bagno di sangue che dura ancora oggi.
Insomma, le tragedie di questo nostro tempo altro non sono che quelle del ritorno su vasta scala dei nazionalismi. Tanto dei deboli, quanto dei forti. Come ci insegna l’era delle rivoluzioni ottocentesche prima, e quella della disgregazione degli imperi zarista, austroungarico e ottomano poi, fu una vera catastrofe.
L’impero giapponese aizzò il fuoco anti-russo dal Pacifico e l’anglosfera che dominava i mari si spartì con l’Urss quelle che furono le spoglie di un terribile nazionalismo novecentesco. Oggi quello che è in corso altro non è che una guerra che sarà di lunghissima durata per dividersi le spoglie del lento declino dell’imperialismo russo. Potrebbe essere una carneficina, ora che l’anglosfera non riesce più a fermare i genocidi.
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