Che cosa sia l’entropia non può sfuggire non solo a colui che possiede qualche cognizione di meccanica statistica, ma altresì a coloro che hanno quella “cultura” che circa quarant’anni orsono si poteva definire “media”, ossia una solida formazione umanistica di base su cui poi si abbarbicavano le “specializzazioni professionali”. Per la meccanica statistica, l’entropia è la crescente probabilità che un sistema si trovi in quel determinato stato macroscopico per cui i sistemi isolati iniziano a evolvere spontaneamente verso configurazioni con un grado via via minore di ordine. Nella teoria dell’informazione, quanto più si produce impedimento alla chiarezza e all’univocità del messaggio, maggiore è l’entropia, minore è la quantità di informazione, in un via via crescente grado di minor ordine.



È ciò che sta succedendo da circa quarant’anni (dalla seconda metà degli anni Ottanta del Novecento) grazie ai sistemi di regolazione non omeostatica che si sono costruiti già a partire dagli anni Venti del Novecento dopo quel Patto Briand-Kellogg che iniziò a “montare” accordi via via sempre più numerosi tra Stati. Creando così organizzazioni funzionali con gradi diversi di internazionalizzazione, ma tutti diretti a controllare e a pianificare quote crescenti della vita associata. Si iniziò pensando di poter organizzare la “pace infinita” e di eliminare per quella via le guerre. E poi via via – soprattutto dopo la Seconda guerra mondiale e il processo di Norimberga (che pure avrebbero dovuto insegnarci qualcosa su come quelle utopie regolatrici illuministiche erano andate a finire, con la shoah e milioni di morti su tutte le plaghe del mondo) – si continuò con Bretton Woods e l’Ocse, la Banca Mondiale e poi l’Ue con le teorie funzionaliste dei grandi meccanici dell’universo, da Jean Monnet et similia, tutti guidati dal gran maestro di tutti: Aristide Briand. 



Gli Usa superarono se stessi traducendo il cameralismo prussiano in un disegno universale di controllo del mondo che faceva la sua figura anche dinanzi al mito ossessivo e della stessa pianificazione sovietica spalmata di gulag. Sappiamo come quella ossessione sia finita. Quella nostra, di matrice franco-prusso-nordamericana, la difendiamo perché non possiamo farne a meno, dinanzi alle brutture della guerra civile europea e mondiale che ancora non ci abbandonano e ritornano ora con il revanscismo grande russo che aggredisce l’Ucraina.

Ora, però, quell’ossessione franco-prussiana-anglosferica si sta scatenando dinanzi alla cosiddetta “inflazione”. Ma si chiama oggi inflazione un processo in verità entropico, un cortocircuito tra quello che nella teoria dell’informazione si disvela quando il disordine comunicativo è d’impedimento alla chiarezza e all’univocità del messaggio e allora maggiore è l’entropia, minore è la quantità di informazione vera e di qualità, come si dice. Seguitemi: si chiama oggi inflazione un fenomeno che inflazione non è, ossia non è la corsa tra salari e prezzi, perché i salari sono da vent’anni in discesa continua.



La quantità di denaro distribuito e in circolazione non dipende dai salari, ma dalla creazione di moneta simbolica artificiale, borsistica e tecnicamente addensatasi sempre più tramite le borse, le collateralizzazioni dei debiti, artifici contabili e concentrazioni di capitale e rendite finanziarie. La produttività del lavoro, del resto, discende e non si riesce a farla salire: e quindi secondo le teorie classiche dell’inflazione come rapporto tra salari e produttività, essa non misura e non regola più un bel nulla. Quella che si chiama inflazione, altro non è in realtà che un susseguirsi di blocchi nella circolazione delle merci del meccanismo di accumulazione del capitale su scala mondiale per effetto pandemico e bellico, come comprende anche un bambino che guardi la carta geografica del mondo da un satellite e veda, allora, milioni di puntini in attesa nel mare, in attesa di attraccare ai porti del mondo, mentre miliardi di persone non detengono prodotti alimentari, energetici di base e muoiono di fame e si ribellano nelle forme più violente e primitive, con milioni di puntini che portano armi e coltelli in ogni parte del mondo e scatenano guerre terribili mentre milioni di bambini muoiono di fame e chiese cristiane vengono distrutte dal fuoco.

Tutto questo non è inflazione: è disordine mondiale, è entropia universale. La signora Lagarde pensa di spegnere qualche fiamma chiudendo le fontanine delle banche centrali e non acquistando più sui mercatini nazionali i titoli di stato di nazioni da tempo culturalmente scomparse e ora esistenti solo più nei trattati, illudendoci tutti in tal modo di spegnere i fuochi e di portare l’ordine in un pianeta invaso da quel disordine che si deve definire per quel che è: crescente entropia. Bisognerebbe smontare il gioco di lego costruito dal 1928, anno del Patto Briand-Kellogg (consultino, prego, Wikipedia).

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