Il 16 maggio a Mosca, invitati dal presidente della Federazione Russa Putin, si sono radunati i presidenti di Kazakistan, Tagikistan, Armenia e Bielorussia per la celebrazione del 20esimo anniversario del Trattato Csto (Organizzazione del Trattato di sicurezza collettiva, ndr), stipulato ad Astana.
Leggendo i resoconti della stampa kazaka, in particolare dei giornali online Vremja e Tengr News, si possono trarre informazioni interessanti sulla situazione di questa organizzazione e sui riflessi sullo scenario internazionale. Innanzitutto si è ribadito che questa alleanza è difensiva ed è al servizio della difesa di questi Paesi. In questo senso appare evidente che, a parte la Bielorussia, da tempo coinvolta, per molti aspetti e a cominciare dalla moneta, con la Federazione Russa, nessuno di questi Paesi si è sentito in obbligo di partecipare alla cosiddetta “operazione speciale”, che non viene considerata un’operazione difensiva. E così, non a caso, i Paesi dell’Organizzazione – salvo la Russia – non sono stati colpiti dalle sanzioni stabilite dall’Unione Europea e da altri Paesi.
Anzi, molti degli oltre tre milioni di russi che in queste settimane sono andati “all’estero”, come avevo già segnalato sul Sussidiario, si sono “rifugiati” spesso nei paesi della Csto. Avevo già spiegato che tra loro non ci sono solo molti giovani di leva che non sono disposti a “morire per il Donbass”, ma anche molti imprenditori la cui attività in patria è bloccata dalle sanzioni.
Putin, nel suo discorso, ripreso anche, in parte, dai media occidentali, si è guardato dal coinvolgere i partner della Csto nella sua “operazione speciale”. Rispetto alla richiesta di Svezia e Finlandia di entrare nella Nato, ha voluto sottolineare i buoni rapporti che ci sono sempre stati, ormai da tempo, con questi due Paesi. La minaccia di cui tener conto sarebbe piuttosto se il loro coinvolgimento nella Nato comportasse un’ulteriore pressione militare ai confini con la Russia.
Da parte sua il presidente del Kazakistan Jomart Tokaev, che al tempo della firma del Csto come organizzazione era ministro degli Esteri, nel suo discorso ha sottolineato che le preoccupazioni difensive della Csto sono nei confronti di quel terrorismo che la recente storia dell’Afghanistan potrebbe alimentare. Non a caso, proprio all’inizio del nuovo anno, Tokaev chiese l’intervento degli Stati amici in occasione delle sommosse popolari nate dall’aumento dei prezzi del carburante, ma sostenute da non precisate organizzazioni terroristiche internazionali. Del resto è noto agli osservatori più attenti che l’arrivo anche in Kazakistan di molti russi a cui già accennavo, non è un fenomeno molto gradito ai kazaki. La loro presenza ha generato una conflittualità fino ad ora sconosciuta nella ancor grande comunità di origine europea presente nel Paese.
Il Kazakistan, che da sempre si propone come modello di convivenza pacifica tra le innumerevoli etnie che compongono la sua società, non può vedere di buon occhio rivalità importate dall’estero. Inoltre i kazaki non possono ignorare che nel loro Paese ci sono zone come quella di Ustkamonogorsk e Kustanaj, dove la componente etnica russa è predominante e domani potrebbe accampare le stesse pretese dei russi del Donbass. Così Tokaev, nel suo discorso, ha voluto anche dire questo: “A nostro avviso dovremmo anche stabilire il compito di collegare la Csto alle attività di mantenimento della pace delle Nazioni Unite. Questo passaggio rafforzerà la personalità giuridica della Csto, garantirà la pratica della partecipazione dell’Organizzazione alle operazioni internazionali di mantenimento della pace”. Insomma, in altre parole: chiediamo una garanzia all’Onu, visto che quella che possiamo darci tra noi, compreso il nostro padrino russo, non ci sembra del tutto affidabile.
Chiamare in causa l’Onu, a prescindere dai suoi problemi, significa che in futuro la Csto, vista la bellicosità di alcuni suoi membri (Russia e Bielorussia), potrebbe avere nelle Nazioni Unite un garante che eventuali operazioni militari della Csto sfuggano al controllo degli stessi membri.
E per chi è avvezzo al linguaggio diplomatico, questa affermazione non può essere sottovalutata.
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