Due recenti notizie: la prima è che il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, ha ribadito che il suo Paese non ha intenzione di ritirarsi dalla Csto (alleanza difensiva di diversi stati dell’ex Urss, tra i quali la Federazione Russa). La precisazione fa seguito alla sua osservazione che “volente o nolente la Csto stia lasciando l’Armenia, e questo ci preoccupa”. In altre parole i soldati della Csto di stanza in Armenia se ne stanno andando alla chetichella, proprio quando gli armeni bisogno di protezione per le nuove minacce dell’Azerbaijan. Probabilmente l’Armenia paga così il nuovo dichiarato non impegno alla guerra in Ucraina, che non considerava, ovviamente, difensiva da parte della Federazione Russa.
Anche altri paesi aderenti alla Csto si trovavano in una situazione analoga, ma, ad esempio, il Kazakistan dal settembre 2022 ha trovato un nuovo protettore dopo la visita del leader della Cina ad Astana. Un giorno dopo l’arrivo del Papa in quella città, per questo tutta pavesata di bandiere cinesi e vaticane, insieme (!).
La seconda, grave, notizia è che il ministro ucraino della Cultura dice che i monaci della Chiesa ortodossa in Ucraina non vogliono essere sfrattati dallo storico monastero delle Grotte di Kiev. Potrebbero non essere costretti allo sfratto solo se passassero alla Chiesa ortodossa dell’Ucraina appoggiata dal Governo.
Da sempre quei monaci, canonicamente dipendenti dal Patriarcato di Mosca, rappresentano una spina nel fianco per Zelensky, perché esprimono con il loro attaccamento al Patriarca quel dissenso cosiddetto filorusso, comunque presente, piaccia o no, in alcuni ambienti della società ucraina. Ho già spiegato che se qualcuno di quei monaci avesse compiuto qualche atto, ad esempio di spionaggio, ai danni dello Stato, giustamente, come ogni altro cittadino, dovrebbe essere inquisito e, se è il caso, punito. Ma non mi sembra che, in caso contrario, lo Stato abbia il diritto di ingerirsi negli affari religiosi della Chiesa, che per di più riguardano la libertà di coscienza.
C’è ancora da precisare che quando si parla di Chiesa ortodossa dell’Ucraina non ci si riferisce a quella Chiesa proclamatasi autocefala dal 1992, e non riconosciuta né dal Vaticano, né da altri Patriarchi, come quello di Costantinopoli. Ci si riferisce invece a quella parte della Chiesa ortodossa in Ucraina che ha sempre fatto parte del Patriarcato di Mosca, ma che ha visto le proprie chiese svuotarsi perché nel Canone della Sacra Liturgia si ricordava Kirill come noi ricordiamo Papa Francesco.
Lo stesso fenomeno è stato osservato anche qui a Milano nelle chiese che da tempo la diocesi aveva concesso al Patriarcato per i propri fedeli. Ora, anche con l’appoggio, questa volta, del Patriarca di Costantinopoli, quella chiesa si sta riorganizzando attorno al vescovo metropolita ortodosso di Kiev, Onofrij, per arrivare al riconoscimento di un nuovo patriarcato, quello di Kiev, che proprio nuovo non sarebbe, perché anche il Patriarcato di Mosca, storicamente, ebbe inizio a Kiev. Lo so che la situazione è complessa e sembra secondaria rispetto alle questioni della guerra, ma non è poco importante per chi crede ancora a una possibilità di arrivare alla pace, e anche a una riconciliazione.
Non è un caso che il Patriarca Kirill si sia degnato di rivolgersi a Papa Francesco perché intervenga a scongiurare lo sfratto dei monaci delle Grotte. Non è neanche il caso che in una recente intervista concessa alla Nación papa Francesco, parlando dei suoi tre incontri, abbia definito il presidente russo “un uomo colto” e “con lui si possono fare conversazioni ad alto livello”. Certo se si vuole arrivare alla pace prima che la imponga un vincitore, come nelle prime due guerre mondiali, bisogna comunque, anche storcendo il naso, dialogare, e in modo concreto.
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