Il recente intervento sul Sussidiario di Riro Maniscalco è molto utile per capire la drammatica situazione in cui versano gli Stati Uniti. Maniscalco pone una serie di domande sui rapporti tra bianchi e neri, sulle disuguaglianze ed ingiustizie nei confronti di questi ultimi, sulle violenze della polizia, la diffusione delle armi. Le risposte oggettive a queste domande delineano una società ben lontana da quella che è ritenuta la più grande democrazia mondiale, ricordando piuttosto alcuni elementi propri dei regimi autoritari. Le dimostrazioni che stanno mettendo a soqquadro gli Stati Uniti possono sembrare non dissimili da quelle che scuotono regimi come quello cinese o bielorusso. Certamente il quadro in cui avvengono è ben diverso, ma non si può non osservare che anche il sistema americano è in estrema difficoltà, con il presidente uscente, e possibile rieletto, accusato di abuso di potere e di essere stato eletto grazie agli intrighi russi. E con una campagna elettorale che sta di fatto sfruttando la contrapposizione razziale che divide dolorosamente il Paese.
Maniscalco ricorda come, quasi 60 anni fa, Martin Luther King pronunciò la frase diventata poi celebre: “I have a dream”, il sogno di una società in cui tutti i diritti civili venissero pienamente riconosciuti, senza alcuna discriminazione. Sono passati 155 anni dalla fine della guerra di secessione e dalla riunificazione del Paese, ma ora le statue che ricordano personaggi della Confederazione sudista vengono abbattute e i loro nomi subiscono una damnatio memoriae che ben poco contribuisce all’unità nazionale. Il tradizionale motto “E pluribus unum” rischia così di essere cancellato, a meno che venga recuperato, come scrive Maniscalco, il cammino di dialogo, pazienza e certezza tracciato da King. Un cammino che riguarda peraltro moltissimi altri Paesi, anch’essi “uno da molti”, a partire dal nostro.
I problemi interni degli Stati Uniti rappresentano un oggettivo vantaggio per gli avversari, come Cina e Russia, ma producono incertezza tra gli alleati. L’aggressività della Cina sta, peraltro, rinsaldando le tradizionali alleanze degli Stati Uniti in Asia e nel Pacifico, portando a fianco di Washington Paesi come l’India per le controversie di confine con Pechino, sfociate recentemente in scontri armati. Meno netta, invece, la situazione in Europa, dove vi sono diversi punti di scontro con i tradizionali alleati europei, aggravati dalla completa assenza di una politica estera comune dell’Unione Europea. L’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, al di là dell’altisonante titolo, è di fatto solo un inutile costo aggiuntivo per le tasche dei cittadini dell’Ue.
Dopo l’uscita della Gran Bretagna, solo due Paesi nell’Ue hanno politiche di un certo rilievo: Francia e Germania. La prima è orientata verso le sue tradizionali aree di influenza, Nord Africa, Africa sub sahariana, Medio Oriente; la seconda ripercorre linee storiche di bilanciamento tra Occidente e Oriente, in particolare verso la Russia. Politiche che appaiono non del tutto lineari, per esempio nei confronti della Cina, e che pongono problemi nei rapporti con gli Stati Uniti. Un’analisi interessante e approfondita della questione è stata fatta da Giulio Sapelli sul Sussidiario, con indicazioni sulle possibili scelte per l’Italia e per la sua debolissima politica estera.
L’ipotesi di Sapelli, come l’ho intesa, è un’alleanza tra le potenze marittime del Mediterraneo, principalmente Francia e Italia, per contrastare le minacce neo-ottomane della Turchia, sempre più reali nel Mediterraneo Orientale contro Cipro e Grecia. Un’alleanza che porrebbe un argine anche all’espansione russa e cinese nell’area, ma che porterebbe a una differenziazione con la Germania e la sua politica parzialmente antagonista a quella americana.
Si ripropone, così, il problema dei rapporti con gli Stati Uniti, diventati particolarmente tesi negli ultimi tempi, anche grazie all’applicazione grezza da parte di Trump del suo “America First”. Di fronte al delinearsi di nuovi blocchi contrapposti, lascia pochi dubbi per l’Europa la scelta per Washington verso Pechino. La situazione negli Stati Uniti sopra descritta, tuttavia, rende la scelta più complicata e richiederebbe un diverso atteggiamento da parte della prossima Amministrazione. Senza togliere nulla alla loro predominanza di fatto, gli Stati Uniti dovrebbero cominciare a considerare le alleanze come veramente tali, non condizionate dall’imperativo “da che parte state”, né, tantomeno, dal considerare gli altri Stati come satelliti. È un dibattito che comincia ad avviarsi anche negli States, ma che non sembra essere del tutto accettato da chi continua a privilegiare l’ormai passato “eccezionalismo” americano.
In questo quadro l’Italia avrebbe un compito difficile ma particolarmente rilevante, data la sua posizione geografica, e storica, di cerniera tra Atlantico e Mediterraneo, tra le varie “sponde” del Mare Nostrum e con l’Oriente europeo. Lungi dal giocare su più tavoli, sarebbe un compito essenziale per la stessa alleanza ipotizzata, di cui dovremmo fedelmente far parte. Per questo, occorrerebbe avere una classe politica e un governo all’altezza della sfida, un problema particolarmente grave per l’Italia, ma che sembra affliggere anche gli altri Paesi.