La società nella quale viviamo è spesso detta “società dell’informazione”, ad indicare l’importanza crescente e totalizzante che le informazioni hanno assunto nella vita quotidiana di ogni individuo, oltre che per il funzionamento del sistema economico e sociale.
Infatti, la diffusione e la disponibilità di tecnologie sempre più avanzate ha favorito la circolazione di dati e informazioni in tempo reale, con potenzialità e ripercussioni enormi in tutti i campi. Conviene dire subito che, in questo articolo, ci interessiamo dei dati, ossia dei modi in cui si manifesta l’informazione, e solo indirettamente delle informazioni che dei problemi analizzati sono l’essenza utile a decidere.
Un data scientist (letteralmente, scienziato del dato) è un professionista capace di gestire e trasformare i dati circolanti, o che lui stesso si procura, in informazione utili ai decisori. Non stupisce che la Harvard Business Review, tra le altre, abbia definito quello del data scientist il lavoro più sexy del XXI secolo. Uno studio effettuato da LinkedIn dimostra come nelle ricerche da social network il termine sia passato dalle 142 interrogazioni nel 2008 alle 4.236 nel 2015, solo dopo 7 anni.
Se la diffusione dei dati ha, da un lato, favorito la propagazione della conoscenza, e quindi la possibilità di effettuare ricerche su qualsiasi argomento e situazione in tempo reale, ha dall’altro sollevato alcuni problemi, tra cui, in modo particolare, la difficoltà di riconoscere un’informazione veritiera da una falsa o comunque di qualità non verificabile.
La scienza deputata a trainare questi cambiamenti è la statistica, che esiste dai tempi dei Sumeri e degli antichi Egizi, i quali assegnavano grande importanza alla quantificazione dei fenomeni (in primis la popolazione) per accrescerne la conoscenza. Tuttavia, ancora oggi la statistica è da molti ritenuta una disciplina di nicchia, il cui potenziale sfugge a molte indagini e a molti studenti della scuola media superiore. Per questo motivo, per molto tempo le aziende che necessitavano di personale specializzato con competenze statistiche da impiegare nella gestione e analisi dei dati, nonché gli enti di ricerca, i policy-makers, ecc. sono stati indotti, e tuttora questo in parte ancora accade, a impiegare esperti in campi affini, ma sostanzialmente diversi, come informatici, ingegneri ed economisti.
La diffusione di software statistici sempre più avanzati e sofisticati, capaci di effettuare con estrema facilità e velocità analisi statistiche anche molto complicate, ha infatti favorito l’assunzione di persone con un profilo professionale non statistico, purché sapessero utilizzare un software. E così, nelle aziende è possibile identificare moltissimi operatori economici e produttivi che hanno scoperto la statistica sul posto di lavoro, spesso applicando le norme ISO, ossia quelle regole di calcolo e valutazione di parametri per la certificazione di processi e prodotti, le quali altro non sono che sistemi di calcolo semplificati di problemi di natura statistica. Questi operatori necessiterebbero di una formazione adeguata a consolidare le fondamenta del loro operare e a migliorare le loro capacità di scelta metodologica, poiché la statistica non è un metodo “one fits all”, ossia non è un unico metodo applicabile in modo indifferenziato a ciascuna classe di fenomeni, ma è una cultura e un bagaglio di metodi e tecniche che permette approcci e soluzioni diversificati in base ai contesti, la rapidità e la complessità dell’applicazione e la profondità delle analisi attese.
Gestire i dati, analizzarli e trasformarli in informazione utile a decidere richiede pertanto la disponibilità di figure professionali adeguate, che sappiano identificare le corrette metodologie da applicare ai dati disponibili e alle finalità di analisi. Ciò che contraddistingue il lavoro dello statistico da quello di altri professionisti, infatti, è la capacità di non limitarsi ad applicare un dato metodo statistico, ma di essere capace di verificare la tecnica più adatta da adoperare per l’analisi dei dati che ha in mano. Questa capacità va individuata partendo dalle finalità della ricerca, dalle caratteristiche dei dati in analisi e dalle peculiarità e, perché no, dalle criticità associate al metodo stesso. Ribadiamo, infatti, non esiste un unico metodo per l’analisi dei dati, ma metodi diversi tra cui scegliere. E, una volta scelto un metodo per un’applicazione, dovremmo testarlo per la generalizzabilità, onde evitare che un particolare dell’analisi dipenda unicamente dalle specificità del campione in analisi.
Ancora oggi i laureati in statistica sono troppo pochi. Nel 2019, il numero di laureati, secondo fonti del ministero dell’Istruzione e dell’Università, sono stati 344.003. Di questi, solo 1.346 sono laureati in discipline statistiche. Almalaurea, il consorzio che raccoglie e analizza i dati sui laureati di quasi tutti gli atenei italiani, citando come fonte il ministero dell’Università e della Ricerca, riporta che negli anni dal 2009 al 2019, gli immatricolati ai corsi di laurea in statistica in Italia sono aumentati, passando da 966 a 1.346 unità.
Tuttavia, tale aumento è da collegarsi principalmente ad un aumento generalizzato nel numero dei giovani laureati italiani, e solo secondariamente ad un maggiore interesse dei diplomati di scuola superiore per lo studio delle discipline statistiche. Infatti, se i laureati in statistica sono rapportati al totale degli immatricolati, la percentuale che ne indica la loro incidenza sul totale dei laureati risulta pressoché stabile nel periodo considerato (0,3-0,4%).
E così, che in questo preciso momento storico risulta determinante non solo avvicinare la collettività, specialmente i giovani, alla statistica e alle sue grandi potenzialità, ma anche raggiungere coloro che, pur non avendo effettuato studi in statistica o che la statistica la hanno solo superficialmente incontrata nella loro carriera universitaria e scolastica, nella vita si son trovati ad applicare le tecniche statistiche.
Inoltre, all’interno della professione dello statistico è poi necessario distinguere gli statistici che possiamo chiamare matematici, la cui azione si focalizza (maggiormente) sull’approfondimento teorico degli aspetti teorici della disciplina, e pertanto sviluppano nuovi metodi per l’analisi generalizzata dei dati, dagli statistici che possiamo denominare applicati, i quali partono da un problema sociale, economico, naturale, produttivo o di altro tipo e studiano l’applicabilità dei metodi statistici esistenti, eventualmente in combinazione tra loro, e, in certi casi, sono in grado di ideare soluzioni originali a problemi di analisi o previsione di fenomeni.
È a partire da queste considerazioni che un gruppo di docenti universitari di statistica e di operatori produttivi, formatosi spontaneamente e riunito nella Associazione per la Statistica Applicata, per la maggior parte statistici e ingegneri, sta cercando di dissodare il terreno per ora incolto tra l’accademia e il mondo che utilizza la statistica proponendone la mutua comprensione. Tra gli obiettivi di questo gruppo, vi è la codifica di un linguaggio comune, la capacità di esprimere bisogni e di far capire metodi, ma anche sperimentazioni su temi di comune interesse, formazione e ricerca su mutue necessità. La collaborazione in questo campo non può che generare positività, dando per assodato che né l’accademia, né il mondo del lavoro sono gli interpreti assoluti di come vanno fatte o dette le cose, ma che solo dal mutuo riconoscimento della specificità dei ruoli possono nascere sinergie.
Alcuni importanti risultati sono già delineati, come il riconoscimento che, in ogni analisi, è prioritario il problema, il che comporta la disamina della “natura statistica del problema” e la conseguente ricerca del metodo da applicare per lo studio di quel determinato fenomeno in quel determinato contesto.
Un secondo risultato è l’offerta di corsi di formazione brevi rivolti ad operatori – qualunque sia la loro formazione – che utilizzano la metodologia statistica in contesti tecnologizzati e competitivi e l’organizzazione di momenti di incontro a carattere scientifico. Ogni anno, infatti, l’Associazione organizza un convegno nel quale accademici di ambito statistico e operatori economici che utilizzano la statistica confrontano le proprie esperienze e cercano un linguaggio comune.
Un altro risultato è lo sviluppo di un dibattito interno tra associati e tra questi e coloro che usano dati per le proprie analisi, che ha portato alla creazione di questo Osservatorio sull’informazione statistica, il quale si propone di fornire ai cittadini una guida verso una lettura statisticamente corretta degli accadimenti di attualità e dell’andamento economico e sociale del Paese, nonché accendere un faro sull’uso, proprio o improprio, della statistica nel mondo dei social da parte dei cittadini.
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