Mentre l’Italia resta soffocata dal caldo, dall’odio per i “draghicidi” e dall’incipiente recessione economica aggravata dalle inopinate sanzioni anti-russe (fiore all’occhiello del governo Draghi e di von der Leyen/Ue), il resto del mondo, per fortuna, fa altro.

Ed è di cosa stanno facendo gli altri che ci occupiamo in questo articolo.



Il presidente americano Joe Biden ha fatto una telefonata con il presidente cinese Xi, il quale gli ha assicurato che “chi gioca col fuoco si brucia”. Eppure, il 22 luglio l’ambasciatore cinese negli Usa, Qin Gang, aveva assicurato a una riunione di politica estera che Pechino vuole “ridurre l’incomprensione e l’errore di calcolo”. Piuttosto che abbracciare ciò che l’ex primo ministro australiano e studioso cinese Kevin Rudd chiama “competizione strategica gestita” in un nuovo articolo di Foreign Affairs, Pechino insiste sul fatto che gli Stati Uniti dovrebbero tornare alle loro vecchie politiche di impegno e sostegno che hanno facilitato l’ascesa della Cina. Si dovrà discutere anche dell’intenzione americana di ridurre alcuni dazi alle importazioni dalla Cina (introdotte da Obama e poi rinforzate da Trump), del quadro di sicurezza nel Pacifico, e quindi delle reciproche intenzioni su Taiwan alla luce dell’incendiario annuncio di Nancy Pelosi (democratica presidente della Camera) di visitare l’isola con una folta delegazione, e inevitabilmente di Russia e Ucraina.



Tuttavia, dietro le quinte, la vera questione sul tavolo è la concorrenza sfrenata sino-americana nella Quarta rivoluzione industriale, che vede la Cina in vantaggio di alcuni anni sugli Usa. Un ritardo difficilmente colmabile nel breve periodo. Italia e Ue, tranne la Germania, nemmeno sono statisticamente visibili.

Come scrive il Wef, “la Quarta rivoluzione industriale rappresenta un cambiamento fondamentale nel modo in cui viviamo, lavoriamo e ci relazioniamo gli uni con gli altri. Si tratta di un nuovo capitolo dello sviluppo umano, reso possibile da straordinari progressi tecnologici commisurati a quelli della prima, seconda e terza rivoluzione industriale. Questi progressi stanno fondendo il mondo fisico, digitale e biologico in modi che creano sia enormi promesse che potenziali pericoli. La velocità, l’ampiezza e la profondità di questa rivoluzione ci stanno costringendo a ripensare a come i paesi si sviluppano, come le organizzazioni creano valore e persino cosa significa essere umani. La quarta rivoluzione industriale non riguarda solo il cambiamento guidato dalla tecnologia; è un’opportunità per aiutare tutti, compresi i leader, i responsabili politici e le persone di tutti i gruppi di reddito e nazioni, a sfruttare le tecnologie convergenti al fine di creare un futuro inclusivo e centrato sull’uomo. La vera opportunità è guardare oltre la tecnologia e trovare modi per dare al maggior numero di persone la possibilità di avere un impatto positivo sulle loro famiglie, organizzazioni e comunità”. In Italia il governo Draghi ha affrontato questa enorme questione con il ministro Roberto Cingolani responsabile della “transizione ecologica” da finanziare a credito col Pnrr. Vedete una differenza?



Il 20 luglio, il quasi centenario Henry Kissinger ha avvertito Biden che è urgente adottare una “flessibilità nixoniana” (come avvenne nel 1971) nel trattare con la Cina, e che “le rinforzate provocazioni americane porteranno conseguenze fatali, insostenibili per Biden”. Inoltre, ha avvertito che gli incidenti, come avvenne nello scontro tra aerei militari sull’isola di Hainan nel 2001, possono ripetersi. Il richiamo di chi fece stringere la mano tra i presidenti Mao e Nixon è di “uscire al più presto da una logica di infinita confrontazione” tra Usa e Cina. Ma l’Italia che fu tra gli artefici diplomatici occulti della “flessibilità nixoniana”, nel 2020 decide improvvisamente di privarsi delle tecnologie (5G e altre) cinesi per obbedienza e sottomissione al rapporto transatlantico, richiamato ossessivamente dal supremo garante dell’unità e interesse nazionale, Mattarella, anche durante l’attuale crisi politica. Con il governo Draghi, poi, il tema Cina è stato sotterrato. Ce lo chiede l’America!

La Cina è molto concentrata sulle fasi preparatorie del XX Congresso del Partito comunista cinese che vedrà la plenaria il prossimo novembre, con la quasi certa riconferma del presidente Xi come Segretario Generale. Al di là dei personalismi, il Congresso vede il coinvolgimento di 2.300 delegati in rappresentanza dei circa 90 milioni di iscritti sparsi in tutte le province cinesi. La sostanza del Congresso non è “un nome” ma la linea politica e le migliaia di progetti discussi e votati durante i cicli elettorali locali per arrivare ad una sintesi nazionale che sarà la relazione del nuovo Segretario generale. Ciò detto, i problemi ci sono anche in Cina: insoddisfacenti risultati economici ancora troppo dipendenti dalle esportazioni (la domanda interna langue); gestione e situazione pandemica e post-pandemica (chiusure/riaperture); gli effetti della “rettificazione regolatoria” che ha colpito l’educazione, l’economia della condivisione (sharing) e delle tecnologie. Secondo il magnate Ma – ex patron di Alibaba, colpito dalla “rettificazione”, insieme alla piattaforma DiDi (l’Uber cinese), Meituan (food delivery), e JD.com (e-commerce) – sebbene l’intenzione del presidente Xi fosse di colpire le diseguaglianze prodotte da un “eccesso di capitalismo”, le espropriazioni a favore dello Stato non miglioreranno la “prosperità comune”, nonostante le draconiane misure per la “redistribuzione di parti consistenti dei profitti privati”.    

Il bel libro di Rush Doshi “The Long Game: China’s Grand Strategy to Displace American Order (Bridging the Gap)” (2021), definito dal Washington Post “il più importante libro sulla Cina da anni”, disegna la sfida in atto nella Quarta rivoluzione industriale.

La forza della Cina, osserva l’autore più di una volta, si basa su un’economia del 25% più grande di quella americana, aggiustata per i prezzi relativi. La sua padronanza delle tecnologie di trasporto e comunicazione le consente di “cementare i suoi legami con gli Stati asiatici” e altri.

Gli sforzi per sovvertire il governo cinese sono particolarmente pericolosi, con poche probabilità di successo tranne riuscire a “produrre uno scontro a tutto campo che potrebbe trasformare la competizione da quella sull’ordine mondiale a quella fondamentalmente esistenziale”.

Ricordando che il 25 maggio il presidente Xi ha incontrato in Cina il capo dei diritti umani dell’Onu, Bachelet, la questione degli Uiguri esiste ma non deve essere sopravvalutata e sfruttata dall’Occidente. La Cina non è uno Stato-nazione, ma un impero con sette lingue principali e 300 lingue minori, dove solo un cittadino su dieci parla fluentemente il mandarino. La paura esistenziale di ogni dinastia cinese è che una provincia ribelle stabilisca un precedente per le altre, portando alla frattura lungo linee etniche e geografiche, come è accaduto così spesso nel tragico passato della Cina.

Tutti i giochi di guerra dell’esercito degli Stati Uniti che considerano un assalto continentale a Taiwan si sono conclusi con la sconfitta americana. La Cina sta costituendo una forza di 100mila marines e fanteria meccanizzata pronti a invadere l’isola, più di 50 sottomarini e una formidabile capacità missilistica terra-mare che potrebbe probabilmente distruggere la maggior parte delle navi di superficie americane che operano vicino alla costa cinese. Michèle Flournoy, ex sottosegretario alla Difesa dell’amministrazione Obama, ha sostenuto che scoraggiare la Cina richiede che gli Stati Uniti possiedano “la capacità di minacciare in modo credibile di affondare tutte le navi militari, i sottomarini e le navi mercantili cinesi nel Mar Cinese Meridionale entro 72 ore”.

In contropartita, è credibile che la Cina abbia la capacità di eliminare le forze statunitensi nel Mar Cinese Meridionale e nelle strutture militari vicine ancora più velocemente, scoraggiando così le iniziative e le risposte militari americane. Tuttavia, la Cina non ha una postura strategica aggressiva verso il resto del mondo. Infatti, in termini di proiezione di potenza, possiede una sola base militare fuori dal suo territorio, Gibuti, per contrastare la pirateria sulle rotte marittime commerciali, dei porti commerciali (Sri Lanka, Groenlandia), qualche piccolo aeroporto (Groenlandia, Maldive), e la sua marina militare è cresciuta da 10mila a 30mila unità nel 2016 a fronte di quella americana che conta 180mila unità e basi militari in tutto il mondo.

Doshi osserva anche giustamente che la profondità industriale della Cina le conferisce un enorme vantaggio rispetto agli Stati Uniti nella promozione della tecnologia. Secondo Jin Canrong, professore della Renmin University, la Cina ha maggiori possibilità di guidare la Quarta rivoluzione industriale perché gli Stati Uniti “hanno un grosso problema, che è lo svuotamento della loro base industriale”. Gli Stati Uniti “non possono trasformare la tecnologia in un prodotto accettabile per il mercato” senza le fabbriche cinesi. Canrong sostiene che il numero superiore di ingegneri cinesi, la loro capacità di decodificare e la centralità delle fabbriche cinesi nella tecnologia globale sono “il vero vantaggio della Cina nella concorrenza industriale a lungo termine”.

Sulle questioni monetarie, Doshi spiega che la Cina non ha alcuna intenzione di sostituire il dollaro come moneta centrale delle transazioni globali (7 trilioni in buoni del tesoro sono detenuti da stranieri, e 16 trilioni di dollari sono depositati in vari paradisi fiscali per facilitare i commerci). La moneta digitale cinese, lo e-Yuan, non è concepita per abbattere il dollaro ma piuttosto per facilitare le transazioni anche senza usare il dollaro (in caso di sanzioni unilaterali, ad esempio). Una specie di Paypal globale.

La vera minaccia all’egemonia finanziaria americana non viene dalla valuta digitale in quanto tale, ma dall’integrazione della cosiddetta logistica intelligente e del cosiddetto “Internet of things”. La Cina sta correndo per guidare una rivoluzione nel trasporto e nel magazzinaggio che consentirà alle controparti di tracciare tutte le merci in ogni fase della produzione e della spedizione in tutto il mondo, rendendo trasparenti le catene di approvvigionamento globali. Ciò ridurrà drasticamente il ruolo del sistema bancario come intermediario e ridurrà il capitale circolante necessario per il commercio. Huawei, la principale azienda cinese di apparecchiature per le telecomunicazioni, spiega sul suo sito web:

“Condividendo in modo trasparente le informazioni tra tutte le sezioni e visualizzando i flussi di materiali, il sistema coordina meglio persone, veicoli, merci e magazzini. Allo stesso tempo, realizza interconnessioni in tempo reale con dati di rischio esterni, consentendo allarmi precoci e promemoria intelligenti di opzioni alternative. Nel processo di distribuzione, i big data e l’intelligenza artificiale effettuano calcoli intelligenti sui piani di stoccaggio delle merci e sui percorsi di trasporto ottimali per migliorare l’efficienza della distribuzione e ottimizzare l’uso delle risorse. I chip che costano pochi centesimi per la produzione saranno incorporati in ogni prodotto commercializzato e comunicheranno in tempo reale con i server che li indirizzano a magazzini automatizzati, camion senza conducente, porte controllate digitalmente e, infine, agli utenti finali. L’Intelligenza Artificiale indirizzerà le merci verso il trasporto più economico e veloce e consentirà agli acquirenti di trovare i prezzi più economici. Le comunicazioni 5G tra server e merci verificheranno lo stato di produzione, transito e stoccaggio di trilioni di articoli in commercio. Il capitale circolante necessario per le transazioni nel commercio internazionale si ridurrà”.

Come ha notato Morgan Stanley, l’introduzione delle monete digitali da parte delle banche centrali prosciugherà la base dei depositi delle banche commerciali, che si vedranno progressivamente disintermediate (riducendo i costi delle transazioni).

Inoltre, Doshi nota che le tecnologie associate alla Quarta rivoluzione industriale possono dare alla Cina un grado di influenza in vaste aree del mondo inimmaginabile nel quadro dell’organizzazione industriale esistente. Miliardi di persone nei Paesi in via di sviluppo vivono ai margini dell’economia globale, lavorando a livello di sussistenza, impegnandosi in piccoli commerci, con scarso accesso alle informazioni, all’istruzione, alle cure mediche e ai servizi sociali. La banda larga mobile a basso costo li sta collegando al mercato mondiale, integrandoli in quello che Huawei chiama il suo “ecosistema” di telecomunicazioni, e-commerce, e-finance, telemedicina e agricoltura intelligente. D’altronde, la Cina negli ultimi 35 anni ha estratto dalla povertà 600 milioni di cinesi.

In questa realtà, la richiesta (imperante) americana di decouple (separarsi) dalla Cina è irrealizzabile, perché totalmente antieconomica. Infatti, la Camera di commercio Ue in Cina ha rilevato che solo circa l’11% dei suoi membri stava prendendo in considerazione il trasferimento fuori dalla Cina nel 2020, e il presidente di AmCham China ha osservato che “la maggior parte dei membri del gruppo non ha intenzione di uscire dalla Cina”.

In conclusione, sottolineo che le conseguenze di tutto ciò che abbiamo descritto sopra non sono solo tecnologiche ed economiche. La rivoluzione dei dati cambierà inevitabilmente il volto della democrazia dalla sua attuale manifestazione. La tecnologia e l’informazione decentralizzeranno e localizzeranno il potere al minimo denominatore nella società, dando così potere all’uomo comune in modi mai visti prima. Ma di questo parleremo in un prossimo articolo.

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