I libri di testo dove si giustificano gli attentati dell’11 settembre e si attacca l’Unione Europea come un club cristiano rappresentano la cifra della trasformazione subita dalla Turchia sotto l’egida di Erdogan e del suo partito fondamentalista.
Introdotti nelle scuole pubbliche di tutte il paese, tali libri sono in linea con lo spirito anti-occidentale che caratterizza non solo la retorica, ma l’operato di Erdogan, che ha spinto Ankara sempre più lontano sia dall’Europa che dagli Stati Uniti.
Da buon Fratello musulmano, Erdogan guarda all’Occidente come territorio di conquista, incitando i turchi residenti in vari paesi europei a moltiplicarsi per vincere la battaglia sul fronte demografico. Oppure, finanziando moschee e imam radicali, al punto da spingere il governo austriaco a chiudere le prime e a espellere i secondi.
A livello geopolitico, Erdogan ha fatto compiere alla Turchia un’inversione di 180 gradi. Prima col tentativo operato insieme al Qatar di rovesciare l’ordine mediorientale per stabilire dittature fondamentaliste dei Fratelli musulmani in Tunisia, Egitto, Siria e Libia, durante la Primavera araba. Poi abbracciando l’Iran khomeinista e il regime venezuelano del “fratello” Maduro.
L’acquisto del sistema missilistico S-400 dalla Russia, al netto delle motivazioni di circostanza, è il coronamento di un processo di allontanamento dall’Occidente, uno strappo ricercato con la Nato, una scelta politica che pone con forza la questione della membership di Ankara nell’organizzazione.
Una Turchia che si allontana volutamente dalla Nato, si allontana automaticamente dall’Europa, con la quale le distanze in verità si erano già fatte pressoché incolmabili. L’apertura del fronte migratorio balcanico è stato un vero e proprio atto di guerra, peraltro andato a segno. Erdogan infatti è riuscito nell’intenzione di destabilizzare l’intera Ue, incassando 6 miliardi di euro in cambio della tregua.
dell’Europa Erdogan ha sempre e solo sfruttato debolezze e ingenuità. Il suo iniziale europeismo, volto ufficialmente a completare il processo di adesione all’Ue, è servito a smantellare l’architettura kemalista dello Stato turco fino all’occupazione dittatoriale del potere, avvenuta dopo il presunto golpe sventato del luglio 2016.
I numeri dell’occupazione li ha forniti il Parlamento europeo nella risoluzione con cui il 13 marzo 2019 ha raccomandato al Consiglio Europeo e alla Commissione di “sospendere formalmente i negoziati di adesione con la Turchia”.
“Nel corso della repressione successiva al colpo di Stato”, sono state 150mila le persone poste in custodia cautelare e 78mila quelle arrestate sulla base di accuse di terrorismo, mentre sono oltre 50mila coloro che continuano a essere in carcere in assenza di prove definitive. Sono stati poi licenziati più di 152mila funzionari pubblici, tra cui insegnanti, medici, accademici, giudici e pubblici ministeri. I mezzi d’informazione chiusi ammontano a 160 e sono 114mila i siti web bloccati, tra cui Wikipedia.
Il Parlamento ha espresso grande preoccupazione per “l’elevato numero di arresti di giornalisti e di professionisti dell’informazione” e per “le condanne infondate e sproporzionate inflitte”, ribadendo “l’importanza della libertà e dell’indipendenza dei mezzi di informazione come uno dei valori principali dell’Ue e pietra angolare di qualunque democrazia”.
La totale incompatibilità della Turchia di Erdogan con l’adesione all’Ue è stata pertanto sancita ed è stato lo stesso Erdogan ad averne creato i presupposti. Il presidente turco ha anzi rilanciato la sfida all’Europa e all’Occidente, a partire dai banchi di scuola. Il suo sistema di potere dà i primi segni di cedimento, dopo la perdita di Istanbul, ma le sue politiche hanno prodotto delle situazioni di fatto che hanno snaturato il corso della Turchia post-ottomana di Ataturk, molto probabilmente in maniera irreversibile.
A coltivare il sogno di una Turchia nell’Ue resta solo l’Italia, che neppure di fronte alla chiara posizione contraria del Parlamento europeo ha avuto il coraggio di discostarsi da una posizione diplomatica che è stata fatta propria da tutti i governi, giallo-verde compreso.
Nella relazione programmatica su “La partecipazione dell’Italia all’Unione Europea”, poco prima della relazione del Parlamento di Bruxelles, il governo Conte ribadiva tale posizione. Forse per timore di Erdogan e delle sue ambizioni neo-ottomane?