Turchia e Arabia Saudita: punti di riferimento per il nuovo Medio Oriente. Non solo i due Paesi stanno riallacciando rapporti fino a qualche tempo fa sfilacciati, ma potrebbero acquisire sempre più peso in un’area nella quale gli USA tenderanno a sfilarsi. Le intenzioni di Trump, per esempio, spiega Valeria Giannotta, direttore scientifico dell’Osservatorio Turchia del CeSPI, sarebbero quelle di lasciare il teatro siriano, abbandonando i curdi a se stessi, ma chiedendo in cambio a Erdogan di normalizzare la situazione con Israele. L’idea del presidente americano è quella di una regione il più possibile pacificata per lasciare spazio agli affari. In questo modo Ankara potrebbe diventare una sorta di referente americano nell’area. E anche Riad.
Turchia e Arabia Saudita stringono rapporti sempre più stretti: il ministro degli Esteri Hakan Fidan è appena stato a Riad. Che segnale è nel contesto mediorientale?
In realtà, il vertice fra i due Paesi si inserisce in un trend già iniziato l’anno scorso, quando la Turchia aveva firmato un accordo per la vendita di droni Baykar, azienda turca leader nel settore a livello mondiale. Sembrerebbe che le parti si fossero già accordate per produrre i droni in Arabia Saudita.
Ma questo incontro rappresenta una svolta nei rapporti tra i due Paesi? Fino a qualche tempo fa erano ai ferri corti.
Dal 2018 hanno vissuto un raffreddamento delle relazioni bilaterali, dovuto anche all’uccisione del giornalista Khashoggi nel consolato saudita a Istanbul: da allora c’era stato un raffreddamento diplomatico. Poi, in linea con quello che è stato il nuovo approccio di Ankara nella regione, quindi dopo il 2021, l’Arabia Saudita è rientrata nuovamente tra gli interlocutori di Ankara.
Un riavvicinamento nel quale ha influito la situazione creatasi con il cambio di regime in Siria?
Gli accordi firmati nei giorni scorsi sono prettamente difensivi, per la fornitura da parte della Turchia di equipaggiamenti navali, oltre a droni, carri armati e quant’altro. Non è un caso, però, che l’Arabia Saudita sia stata uno dei principali sponsor di Assad, del suo reinserimento nella Lega Araba. E non è un caso anche che i sauditi siano uno dei principali interlocutori della Turchia, insieme al Qatar, della nuova compagine siriana. I decision makers sauditi sono in costante rapporto diplomatico a livello di ministero degli Esteri (ma anche della Difesa) con il nuovo governo siriano. E sappiamo che oggi la Siria è una longa manus della Turchia.
Entrambi i Paesi, quindi, sostengono il rilancio di Damasco?
Nel vertice diplomatico di Riad si è parlato di agire in sinergia per fare in modo che i Paesi occidentali cancellino le sanzioni che ancora gravano sulla Siria.
Turchia e Arabia Saudita si candidano entrambi a essere dei punti di riferimento per tutto il Medio Oriente?
Nell’ottica occidentale sicuramente sì: la Turchia per ovvie ragioni storiche di ancoraggio all’Occidente e l’Arabia Saudita perché da poco ha avviato un processo di liberalizzazione delle sue politiche. C’è poi un altro elemento da tenere in considerazione: l’amministrazione Trump a breve dovrebbe disimpegnarsi dalla Siria, ritirando i contingenti militari che ancora stazionano nel Paese, e potrebbe farlo anche nel resto del Medio Oriente.
Un ritiro che pone delle incognite sullo scenario che si va prefigurando?
Bisogna vedere come questo inciderà sulla stabilità sia siriana che regionale. Da fonti stampa pare, comunque, che Trump abbia posto una condizione a Erdogan: lascerebbe decidere ad altri il destino delle milizie curde (la Siria vorrebbe includerle nel suo nuovo esercito), chiedendo in cambio che la Turchia inizi un processo di normalizzazione delle relazioni con Israele.
Questo processo a cosa potrebbe portare?
Dopo la normalizzazione avvenuta nel 2023, dopo i terremoti, con la guerra israeliana a Gaza si è assistito a un raffreddamento dei rapporti tra le parti. Ma dal punto di vista americano, Israele e Turchia, storici alleati USA, sono due attori importanti e si presume che Trump voglia riprendere gli Accordi di Abramo, con l’obiettivo di un allineamento fra Tel Aviv e Riad. E in una regione più o meno stabilizzata si profila un nuovo ordine che necessita anche di un buon rapporto tra Israele e Turchia.
Gli americani rinunciano al loro ruolo di gendarmi del Medio Oriente e lo cedono in qualche modo a Turchia e Israele?
A Trump interessa che gli scenari siano stabili, ha un approccio molto pragmatico. Non gli interessa esportare la democrazia, ma che vi sia un ordine regionale che permetta all’America di continuare a fare i propri interessi. Obiettivo della normalizzazione tra Israele e Turchia è il contenimento dell’Iran. Fra Trump ed Erdogan, tra l’altro, c’è un rapporto molto franco e diretto, che facilita l’approccio a certi dossier.
Va bene che Erdogan è maestro negli equilibrismi, ma riuscirà a fare un accordo con Israele mantenendo il suo ruolo di difensore dei palestinesi e anche di Hamas?
Negli ultimi giorni c’è stata l’ennesima visita di alcuni rappresentanti di Hamas ad Ankara e, proprio tramite questo contatto con l’ala politica dell’organizzazione palestinese, la Turchia è riuscita a mediare per il rilascio a Gaza di alcuni ostaggi thailandesi. Mantiene, insomma, il suo ruolo di mediatore. Il rapporto con Israele è segnato da una certa ambivalenza. I toni della polemica contro-israeliana, a dire la verità, non sono più così forti come prima: a livello di opinione pubblica e mediatico le notizie su Gaza, sui massacri israeliani, continuano a essere in evidenza, ma i proclami di Erdogan non sono più violenti come prima, probabilmente perché c’è il sentore che con Trump si troverà il modo per stabilizzare la situazione.
Ma allora la normalizzazione tra Turchia e Israele in cosa consisterà?
Credo nel togliere l’embargo turco su alcuni prodotti israeliani, ricominciando il dialogo diplomatico e politico. Penso che questo scenario possa prevedere l’uscita di scena di Netanyahu. Senza la compagine politica che attualmente governa, i rapporti con la Turchia verrebbero agevolati: Erdogan vedrebbe con più favore un nuovo esecutivo rispetto alla leadership di Netanyahu.
Tenendo conto di tutti questi elementi, che Medio Oriente si sta delineando?
Sarà un Medio Oriente in cui l’influenza iraniana sarà sempre più ridotta. Anzi, forse bisognerà pensare a una proiezione dell’Iran verso altre aree, magari il Caucaso. Con la nuova compagine siriana e lo sforzo di Ankara per stabilizzare altri contesti come l’Iraq, il Medio Oriente vedrà sicuramente una maggiore influenza turca.
Gli americani manterranno un ruolo?
Non hanno interesse ad avere una presenza sul terreno. È un’America più “introversa”, incline a difendere l’interesse nazionale a casa propria. Trump farà leva sul rapporto privilegiato con determinati leader, quindi con Erdogan e con l’Arabia Saudita. Il che non vuol dire che tra la Turchia e l’America non ci siano problemi. Su determinati dossier, però, Washington conterà su Ankara, così come su altri conterà sull’Arabia Saudita.
(Paolo Rossetti)
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