Un mondo senza turismo sarebbe un mondo peggiore. Lo sostiene Ferdinando Cotugno su una bell’analisi uscita su RivistaStudio. Più che condivisibile il suo ragionamento: il turista è diventato la figura contemporanea perfetta da odiare, deridere o entrambe le cose.

“In molte località sotto pressione turistica c’è un mood tra il fastidio collettivo e la rivolta, le pistole ad acqua a Barcellona, i droni sulle spiagge in Grecia, i cortei a Palma di Maiorca, le invasioni dei punk sull’isola di Sylt. Odiare il turista però vuol dire anche odiare un po’ se stessi, il turismo è una specie di oppressione a turno, un weekend rovini la città di qualcuno, il weekend dopo qualcuno rovina la tua. Il turismo però è anche un’esperienza democratica, un’attività collegata al riposo, al piacere, è l’estensione di un diritto conquistato a caro prezzo da generazioni precedenti, quello di fuggire dal lavoro”. Il turismo, in poche parole, sarebbe l’antidoto alla “schiavitù del tempo salariato…, la perfetta espressione del realismo capitalista in cui siamo tutti prede o predatori a seconda del ritmo circadiano della produzione”.



Va detto che, al contrario ad esempio della manifattura o di altre attività industriali, il turismo non si può delocalizzare, non si può nascondere, e la sua espansione non governata è responsabile degli effetti più negativi dell’overtourism, come l’impossibilità di affittare un appartamento, o la sparizione dei servizi base, la metamorfosi dei quartieri, e la bruttezza dell’esperienza turistica in generale. “È facile odiare i turisti, oggi, perché sono un sintomo ambulante delle peggiori fratture della nostra società – sostiene l’analisi -. La verità, però, è che non è colpa dei turisti. Quella bruttezza è un prodotto della società della stanchezza. Che sia un city break, un’avventura nel mondo, o tutto quello che c’è in mezzo, se siamo degli adulti nel mondo contemporaneo la certezza che ci accomuna è che partiremo già stanchi. Se volessimo ancora affidarci all’arcaica e demenziale distinzione tra turista e viaggiatore, questa sarebbe la principale differenza: il viaggiatore parte riposato, ha potuto dedicare tempo a leggere, prepararsi, comprendere lo spirito del posto e le basi della sua lingua, come mescolarsi con garbo e gentilezza, senza farsi troppo notare. Il turista invece tutto l’anno vive inseguendo la sua stanchezza, non ha tempo per capire, studiare, imparare, è generalmente esausto, e quindi si affida a tutto quello che è già pronto, Tripadvisor, la Seo universale delle dieci cose da non perdere, e così via”. E quindi odiare i turisti sembra essere una soluzione individuale a un problema sistemico. Si prova a sfuggire all’idea che l’unico turista responsabile sia quello che sta a casa sua, ma probabilmente bisognerebbe superare la scissione tra quello che siamo quando viaggiamo e quello che siamo quando non viaggiamo.



Basterebbe? Certo che no – dice Cotugno -, le soluzioni individuali finiscono sempre con l’essere puntelli del sistema. Chi vuole un cambiamento deve guardare, come sempre, nella direzione della partecipazione politica. Il punto non è regolamentare ancora di più lo spazio pubblico (sindaci che decidono dove si può mangiare e dove no, o mettono i biglietti per visitare le loro città), ma avere il coraggio di governare l’attività privata”.

Lo chiedono ormai in tanti: serve una regolamentazione, una governance del turismo che non preveda solo limitazioni, ma anche una programmazione intelligente degli spazi, dei flussi, dell’hospitality in genere. L’over non aiuta mai niente e nessuno: il troppo turismo, al di là dei semplici dati scorporati, che vengono sbandierati quali successi, fa al contrario soffrire i tessuti sociali anche di città medie, come Padova, ad esempio, dove le associazioni dei commercianti parlano di disneyficazione del centro (ossia la decontestualizzazione della realtà e il suo riconfezionamento in un formato familiare, rassicurante e semplificato, ideale per il consumismo di massa) che conta attualmente circa tremila alloggi riservati agli affitti brevi turistici, per un volume d’affari che nel 2019, per Padova e provincia, si aggirava intorno ai 19,5 milioni di euro, salito nel 2023 a 24,8 milioni, e che nel solo primo quadrimestre del 2024 ha già fatto incassare 8 milioni. “Se tanto ci dà tanto – dicono i commercianti padovani -, potremmo prevedere che non sarà difficile arrivare alla trentina di milioni a fine anno”.



In generale, si sta oggi assistendo a quello che ancora nel 1975 George Doxey aveva definito l'”Indice di irritazione” (o “Irridex”), secondo il quale una destinazione comincia ad accogliere i turisti con soddisfazione, però mano a mano che il loro numero aumenta, quel sentimento diffuso si evolve in apatia e irritazione. Un passaggio in quattro fasi: dall’euforia delle prime accoglienze all’apatia, all’irritazione fino all’antagonismo. Una turismofobia conseguenza di quella gentrificazione-turistificazione che dicono gli operatori dei servizi.

E si ritorna al nocciolo: serve una governance vera, un controllo e una programmazione, che troppo a lungo sono state accantonate in virtù delle capacità del settore nell’autogestione. Oggi non è più così, ma proprio grazie agli strumenti informatici che hanno fatto esplodere l’overtourism si potrebbe provvedere ad ottimizzare l’intera filiera della travel & hospitality industry.

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