La politica di Donald Trump nei confronti del Medio Oriente è stata soggetta a molte critiche, come inevitabile data la situazione estremamente complicata di quell’area, ma sembra aver dato almeno un lascito positivo. Si tratta degli Accordi di Abramo, firmati nel settembre del 2020 alla Casa Bianca, tra Israele, Bahrein ed Emirati Arabi Uniti.



Questi accordi furono molto criticati da Qatar e Turchia, così come dai palestinesi, che videro in essi un allontanamento di parte del mondo arabo dalla loro causa. Malgrado queste opposizioni, gli Accordi sono stati poi firmati anche da Marocco e Sudan, anche se la situazione interna di questo Paese li ha in pratica congelati.



Gli Accordi si situano all’interno di una nuova politica del governo israeliano succeduto a Benjamin Netanyahu, sotto il quale peraltro erano stati firmati. Questa politica, pur tra difficoltà interne ed esterne, sembra rivolta a rompere l’isolamento di Israele nella regione, rafforzando i rapporti già esistenti, per esempio con Egitto e Giordania, finora gli unici firmatari di accordi di pace. L’inclusione di un partito arabo-israeliano nell’attuale compagine governativa è quantomeno una possibilità che anche la questione palestinese possa essere avviata a soluzione. Per il momento, tuttavia, su questo fronte la situazione sembra ancora molto difficile.



Gli Accordi di Abramo hanno subito portato a risultati positivi nei rapporti economici, soprattutto tra Israele ed Emirati Arabi, ma ora stanno emergendo altri elementi di carattere più geopolitico. Come riporta Al Monitor, all’inizio di febbraio il ministro della Difesa israeliano, Benny Gantz, ha firmato una lettera di intenti con la sua controparte del Bahrein che prevede una cooperazione strategica per quanto riguarda il coordinamento delle attività di intelligence, le reciproche industrie della difesa ed esercitazioni militari. Gantz ha poi visitato la base navale statunitense in Bahrein e nella visita è stata menzionata la partecipazione di Israele alla prossima esercitazione navale, che coinvolgerà 60 Paesi. Tra questi, anche Arabia Saudita e Oman, che non hanno relazioni diplomatiche con Israele.

Una settimana prima, una delegazione israeliana si era recata negli Emirati Arabi per stabilire una cooperazione nella difesa antimissilistica. Gli Emirati sono stati più volte oggetto di attacchi missilistici fatti partire dallo Yemen dai ribelli Houthi filo-iraniani. L’ultimo attacco è avvenuto alla fine di gennaio durante la visita del presidente israeliano Isaac Herzog. Lo scorso novembre, un accordo simile a quello firmato ora con il Bahrein era stato concluso con il Marocco.

Questa serie di incontri e accordi ha fatto dire a qualche commentatore che siamo in presenza della nascita di una sorta di “Nato del Medio Oriente” e, come la Nato originale ha un nemico “ufficiale” nella Russia, questa nuova Nato ha individuato il suo nell’Iran. E l’Iran può essere alla base di un miglioramento dei rapporti anche con la Turchia, dato che anche Ankara teme un Iran potenza nucleare. Gli scarsi risultati dei colloqui in proposito tra Iran e Stati Uniti destano qualche preoccupazione in tutta l’area. Il presidente Herzog sembra intrattenere buoni rapporti con Erdogan, che di fronte alle attuali difficoltà interne potrebbe trovare utile un riavvicinamento con Israele.

Un ostacolo ai rapporti è l’adesione di Erdogan alla Fratellanza musulmana e, di conseguenza, il suo sostanziale appoggio ad Hamas, insieme al Qatar. Così, la “questione palestinese” si riprende la scena, riaffermando che una soluzione che soddisfi, per quanto possibile, le esigenze di tutte le parti coinvolte è necessaria innanzitutto ad Israele. Tanto più ora che la “questione israeliana” sembra ormai avviata a soluzione.

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