La recente riunione a Granada del Consiglio europeo si è concentrata sul problema dei migranti, alla ricerca di una soluzione o quantomeno di un approccio comune da parte dell’Unione Europea. Le discussioni hanno raggiunto qualche risultato, ma hanno anche posto di nuovo in rilievo i differenti interessi dei vari Paesi e, quindi, le divergenti posizioni.



Questo dibattito ha posto in secondo piano un altro importante argomento dell’ordine del giorno: l’allargamento dell’Unione. Il comunicato stampa finale della riunione dedica alla questione un paragrafo piuttosto generico, in cui si afferma che “L’allargamento rappresenta un investimento geostrategico nella pace, nella sicurezza, nella stabilità e nella prosperità”. Si afferma poi che sia l’Ue che gli Stati candidati dovranno essere pronti ed effettuare tutti i lavori e approntare tutte le riforme necessarie.



Più consistente la riunione dei ministri degli Esteri dell’Ue di pochi giorni prima a Kyiv, che si è focalizzata sulla possibile entrata nell’Unione dell’Ucraina. Accanto alla promessa di ulteriori finanziamenti fino a 5 miliardi di euro per l’anno prossimo è stato, infatti, riaffermato il progetto di ammissione dell’Ucraina all’Unione Europea. Una proposta, o promessa, che appare dettata più dalla geopolitica che da fattori inerenti la natura stessa dell’Ue, tanto più che si è prospettata l’entrata anche di Moldavia e Georgia, altri due Paesi in grave conflitto con la Russia.



Come riportato da The Guardian, Roberta Metsola, presidente del Parlamento Europeo, aveva avanzato l’ipotesi di un coinvolgimento dell’Ucraina per stadi, iniziando dalla completa partecipazione al mercato libero dell’Ue per poi passare al processo di completa adesione. Ipotesi invece accantonata dall’Alto rappresentante della politica estera europea Josep Borrell, in linea con il ministro degli Esteri Annalena Baerbock, che ha definito l’Ucraina “il cuore battente dell’Europa”e ha indicato l’obiettivo di un’Unione Europea che si estenda da Lisbona ai confini della Russia.

Gli Stati citati non sono gli unici in attesa. In coda da anni ci sono diversi Paesi balcanici: Albania, Bosnia-Erzegovina, Macedonia del Nord, Montenegro, Serbia, ai quali potrebbe aggiungersi il Kosovo. Vi è poi la lunga storia con la Turchia, ben lungi dal giungere a una conclusione a giudicare dalle ultime dichiarazioni di Erdogan: “La Turchia non si aspetta più nulla dall’Unione Europea, che ci ha tenuto per 40 anni alla porta”. Dietro le dichiarazioni di facciata, viste anche le persistenti difficoltà tra gli attuali 27 partecipanti, questo ampliamento a 35-37 Stati risulta tutt’altro che semplice e facilmente fattibile. Si parla comunque di una decina di anni di discussioni e verifiche.

Interessante sotto questo profilo un articolo apparso su Foreign Affairs a firma Carl Bildt, già primo ministro svedese, e intitolato The Promise and Peril of EU Expansion (Promessa e rischio dell’espansione dell’Ue). Dopo l’aggressione russa all’Ucraina, Bildt ritiene inevitabile l’adesione all’Ue di questo Paese e anche della Moldavia, altro Stato minacciato da Mosca, con l’obiettivo di stabilizzare l’Europa. Questa la promessa, ma il rischio? Un primo fattore è la probabile irritazione dei Paesi balcanici in lista di attesa se venisse adottata una corsia di preferenza per l’Ucraina e Moldavia. Mosca potrebbe trarne paradossalmente vantaggio, soprattutto nel caso di una grave crisi con la Serbia, un Paese non alieno da simpatie per la Russia. Inoltre, diverrebbe più complicata l’applicazione di procedure comunitarie già oggetto di critiche e ipotesi di revisione.

Rimangono poi non indifferenti problemi su diversi aspetti del sistema istituzionale ucraino, resi più problematici dalla guerra, in particolare la lotta alla corruzione che rimane troppo elevata, malgrado vi siano stati progressi negli ultimi anni. Un problema analogo si pone per la Moldavia. Infine, vi è il pesante problema relativo alle sovvenzioni alla agricoltura, un elemento molto importante per l’Ucraina, non a caso definita il “granaio d’Europa”. Ciò però fa insorgere conflitti con altri Stati dove l’agricoltura rappresenta un fattore rilevante per l’economia del Paese, come ad esempio la Polonia. Nonostante il suo appoggio senza riserve all’Ucraina, recentemente la Polonia si è trovata a doversi opporre a Kyiv proprio per la dannosa concorrenza del grano ucraino ai propri produttori.

Si arriva così a un altro aspetto altamente problematico, quello finanziario, su cui si diffonde un recente articolo del Financial Times, sulla base di stime iniziali fatte da uffici dell’Ue che tengono conto dell’entrata di tutti i nove attuali candidati. L’allargamento porterebbe ad un aumento di circa il 21% dell’attuale budget dell’Unione, arrivando così a valere l’1,4% del Pil dei 36 Paesi. Ciò porterebbe alla necessità di maggior contribuzione dagli Stati che già sono contributori netti al bilancio comunitario, ma ridurrebbe anche il numero degli Stati percettori netti, soprattutto nell’Est europeo. In particolare per quanto riguarda l’Ucraina, anche queste prime stime confermano il forte impatto che avrebbe la sua ammissione sulla agricoltura comunitaria. L’esito stimato sarebbe di una riduzione di circa il 20% delle sovvenzioni agli altri Paesi per finanziare quelle che spetterebbero all’Ucraina.

A questo punto, l’impressione è che la proposta della Metsola fosse del tutto realistica e quella di Borrell, se non ideologica, quantomeno wishful thinking.

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